Coronavirus, il professor Venturi: “Trovata la terapia, 48 pazienti tutti guariti”

I risultati della ricerca verranno ufficialmente presentati lunedì, ma qualcosa si può anticipare: a quanto pare le voci sono tutte vere. Le trasfusioni di “plasma iperimmune” funzionano contro il Covid-19, costano poco  e soprattutto ora è stato trovato un modo per farne su vasta scala. A spiegarlo è Alessandro Venturi, presidente del San Matteo di Pavia, ovvero l’ospedale che ha avuto in cura il “paziente 1” di Codogno e che già nei primi giorni di marzo ha iniziato a sperimentare il nuovo metodo (che in realtà è vecchio, per altre patologie viene usato dall’inizio del secolo scorso). Venturi non riesce a comprendere le polemiche nate sugli studi dei suoi medici: «Forse il fatto è che, mentre tanti virologi andavano in televisione, noi eravamo in laboratorio a lavorare», dice, «magari se questa ricerca l’avessero fatta altri le cose sarebbero andate in maniera diversa, questo è un paese di campanili…». 

La premessa del professore è chiara: «Non provate a farmi dire che abbiamo trovato una cura miracolosa perché non è così, certo però possiamo dire che al momento questa è l’unica terapia specifica esistente contro questo virus». Ed è una terapia che sta dando risultati eccellenti. Quarantotto persone guarite su quarantotto pazienti ufficialmente sottoposti al trattamento all’interno del programma del San Matteo, scelti tra casi più o meno gravi. E questi sono solo una parte dei centinaia di contagiati trattati con questo metodo. Si moltiplicano i racconti di malati tornati in piedi nel giro di poche ore dopo esser stati sottoposti a trasfusioni “in via compassionevole”. Il senso dell’espressione ormai è conosciuto a tanti italiani: significa tentare rimedi non certificati dalle autorità sanitarie per intervenire in situazioni disperate. Situazioni che, però, a volte sono irrecuperabili. «Questo virus finisce per provocare delle reazioni scomposte da parte del sistema immunitario», continua il dirigente pavese, «il plasma è risolutivo se si interviene prima». 

In generale, però, i dati sulle guarigioni sono ottimi, tanto che ieri anche l’Istituto Superiore di Sanità ha annunciato che lancerà un suo studio per capire l’efficacia del procedimento. Nel frattempo però – da Napoli a Bergamo – tante strutture sanitarie in tutta Italia si stanno attrezzando per partire senza attendere le procedure standard.
La domanda a questo punto è: perché questa teapia non è stata sperimentata subito in vasta scala, se funziona tanto bene? Il problema è che mancava uno strumento essenziale: «Non avevamo un test sierologico efficace e veloce per individuare quali persone avessero sviluppato un numero di anticorpi sufficienti per diventare potenziali donatori». E di quest’ultimi ne servono tanti. Migliaia. Con la trasfusione di un guarito si ottiene abbastanza plasma (che è tutto quello che c’è nel sangue tolti globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, quindi la parte liquida) per curarne due. Per rintracciarli finora si procedeva in maniera artigianale, con analisi in laboratorio e tempi molto lunghi: «In questo modo si riuscivano a scovare alcune decine di soggetti adatti al giorno. Ora il nuovo test del San Matteo ci permette di trovarne centinaia ogni ora, con una potenza di fuoco nettamente diversa».

La conseguenza è chiara: «Non c’è più un problema di numeri. Qualsiasi ospedale adesso potrebbe partire con una campagna di raccolta per poi procedere con le trasfusioni». Il tutto anche realizzando le famose “banche del plasma”, come anche il Veneto ora programma di fare. D’altra se c’è una cosa che non manca in Lombardia sono gli ex malati di Covid-19. Resta solo un limite tecnico: «Per questa terapia servono strutture ospedaliere». Non ci si può curare a casa.

Come dicevamo, sul plasma il parere degli esperti è tutt’altro che unanime. Alcuni esperti hanno sollevato dubbi sull’efficacia del trattamento, che rischierebbe anche di diffondere malattie autoimmuni o allergiche (come detto ieri dal virologo del San Raffaele Massimo Clementi) o patologie comuni come l’epatite B: «Ma queste sono stupidaggini», taglia corto Venturi, «le trasfusioni sono sicure, non perderei tempo dietro a queste cose». Altro punto: «Non c’è alcun effetto collaterale, al contrario di quanto capita con alcuni farmaci retrovirali utilizzati oggi, né controindicazioni».

Infine c’è il tema dei costi. Rispetto a quanto si spende per allestire reparti di terapia intensiva parliamo di cifre ridicole: duecento euro in tutto per curare un uomo. «Se calcoliamo quanto costa mantenere un paziente di Coronavirus», conclude Venturi, «significa un risparmio netto per tutto il sistema sanitario impressionante».  I vantaggi sembrano molti, anche per questo altri Paesi hanno iniziato a seguire questa strada. Negli Stati Uniti sono partite ricerche simili a quelle italiane con ben 6000 persone coinvolte. Molti di queste sono medici: «lo fanno in via precauzionale, per consentire a chi lavora negli ospedali di sviluppare difese». Come una specie di vaccino. Un altro tentativo disperato.

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