Il piano di Vienna e Berlino per affossare il made in Italy
Più aiuti di Stato, maggiore flessibilità, vincoli europei allentati per un periodo che sia il più lungo possibile. Per una volta la proposta di allargare i cordoni della borsa viene dai paesi rigoristi e non dai mediterranei.
Ma non è un caso. E per noi non è una buona notizia.
Il dibattito sugli aiuti di Stato nazionali e su quali e quanti l’Europa ne debba consentire durante e dopo l’emergenza coronavirus è molto sentito dalle parti di Bruxelles. Molto meno da noi, dove ha invece preso piede prima quello un po’ autoreferenziale sul Mes e poi quello sull’ingresso dello Stato nel capitale delle aziende destinatarie di aiuti.
In sintesi, Il 19 marzo la Commissione europea ha approvato lo schema provvisorio (Temporary framework for state aid) con il quale, in virtù dell’emergenza da pandemia, sono stati allentati molti dei limiti applicati dalla potentissima direzione generale concorrenza guidata da Margrethe Vestager agli aiuti di Stato. Per fare fronte all’emergenza i governi possono utilizzare tutta la flessibilità concessa dalla normativa in vigore e possono erogare aiuti alle aziende fino a 800mila euro, prestiti a interessi zero garanzie sui prestiti che coprano il 100 per cento del rischio.
Il tutto senza il timore di incorrere in una procedura per aiuti di Stato, perlomeno fino al dicembre del 2020, quando tornerà in vigore la normativa ordinaria.
Pochi giorni dopo l’approvazione dello schema si è fatto avanti il governo austriaco con una lettera a Vestager nella quale Vienna chiede di allentare ulteriormente l’applicazione delle regole, annullando di fatto tutti i vincoli agli aiuti di Stato decisi dai governi nazionali. Tra le richieste quella di eliminare le autorizzazioni ex ante, il tetto massimo e i limiti ai soggetti destinatari degli aiuti. Pressioni anche dall’Olanda, con una richiesta di allungare i tempi del nuovo regime più permissivo sugli interventi pubblici in economia.
Per ora Vestager ha resistito. In una lettera di risposta all’Austria, citata dal Financial Times in un articolo pubblicato il primo maggio, la vicepresidente della Commissione ha spiegato che non potrà non tenere in considerazione la necessità di «garantire pari condizioni tra gli stati».
Il problema, spiega un funzionario europeo italiano, è che i Paesi con maggiore capacità di spesa possono aiutare le proprie aziende in misura maggiore rispetto a chi non ha i conti in ordine come l’Italia. Aiuti di Stato senza limiti rafforzano le economie più solide, danneggiano il mercato unico europeo e la concorrenza».
La prova di quanto gli aiuti di Stato nazionali possano fare aumentare le distanze tra le economie europee, è nei dati sugli aiuti nazionali già approvati dalla Commissione europea, citati dal quotidiano britannico.
Su 1.900 miliardi passati per la Dg concorrenza, il 52%, più di 1.000 miliardi sono aiuti della Germania alle sue aziende. Seguono a distanza l’Italia e la Francia, con una quota molto più ridotta, intorno al 17%. Se non ci fossero i limiti europei la differenza tra la potenza di fuoco della Germania e quella degli altri sarebbe ancora maggiore.
Facile sospettare che dietro al pressing di Olanda e Austria ci sia la Germania. O comunque gli stati intenzionati a mettere a frutto anni di conti in ordine (nel caso di Berlino addirittura un surplus di bilancio) per iniettare soldi pubblici nelle aziende nazionali che sono sicuramente alle prese con la crisi da coronavirus, ma in situazioni meno rischiose rispetto a quelle di paesi meno solidi economicamente. Il Financial Times cita i malumori di funzionari europei spagnoli, che vedono addirittura il rischio della rottura del mercato unico.
Nei prossimi giorni la Commissione europea dovrà mettere a punto lo schema degli aiuti di Stato. E si capirà se le pressioni dei rigoristi in versione statalista avranno fatto breccia.
il giornale.it