Munchau a gamba tesa: l’Italia in Ue non fa i propri interessi?
Wolfgang Munchau è sempre da ascoltare con interesse e da leggere con attenzione: il 59enne editorialista del Financial Times rappresenta una voce di primo piano nello studio delle dinamiche economiche dell’Europa, e nelle ultime settimane ha rappresentato una voce critica della conduzione politica della crisi seguita alla pandemia da coronavirus.
Il 19 aprile scorso Munchau aveva avvertito circa la sottovalutazione del problema dell’economia italiana da parte dell’Unione e circa i rischi di un atteggiamento duro e non solidale verso Roma in un editoriale sul quotidiano della City. Con lucidità, l’analista ha prospettato la natura di compromesso al ribasso dell’adesione italiana al Mes, prospettando che le misure messe in campo non sarebbero risultate sufficienti per prevenire il rischio di un default dell’economia italiana. Nelle ultime settimana, manovre come i declassamenti di Fitch hanno segnalato un clima nervoso attorno alla nostra economia.
Di recente, nella giornata del 4 maggio, Munchau ha parlato al mondo italiano in maniera più diretta concedendo un’intervista a La Verità. “Da almeno 10 anni, l’Italia ha detto sì in sede europea a norme e accordi che o non sono nel suo interesse, o a cui ha contribuito senza beneficiarne direttamente”, afferma tagliente. “Mi pare che qui si possa ripetere una situazione dello stesso tipo”. Dalla proposta dei primi Eurobond da parte del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, a cavallo tra il 2010 e il 2011, Roma ha perso la capacità propositiva e proattiva che ne aveva messo in mostra il ruolo di protagonista negli affari europei.
Da quando Angela Merkel e Nicolas Sarkozy silurarono il piano Tremonti, e dopo l’avvicendamento a Palazzo Chigi tra Silvio Berlusconi e Mario Monti a dicembre 2011, Roma è diventata sempre meno soggetto e sempre più oggetto delle dinamiche comunitarie. L’ultima di queste capitolazioni è stata, secondo Munchau, l’accettazione del Mes negli strumenti europei anti-crisi, certificata dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri prima di Pasqua: secondo l’editorialista del Ft, un grave errore da parte dell’Italia è stato legato all’incapacità di presentare una proposta alternativa al di fuori della posizione retorica sui nuovi Eurobond, portati avanti come misura-bandiera senza reale approfondimento politico. Nella consapevolezza che l’era degli Eurobond comuni era dieci anni fa, non oggi, quando col quantitative easing l’ora più buia della tempesta degli spread è passata: “Quella dei coronabond era una proposta prematura, non c’era un piano preparato né consenso costruito intorno all’idea”.
Il quotidiano di riferimento della finanza internazionale sa che l’Italia è un anello debole dell’Europa e che l’eccessivo rigore nordico può causare problematiche a cascata sul Vecchio Continente, portando al crollo dell’economia dell’Unione e a un rafforzamento della portata mondiale della crisi. Munchau rappresenta l’ala più analitica di un gruppo di pressione e interessi che ha nel Ft il suo organo e che sta lanciando il grido d’allarme per invitare al buon senso. Inoltre le sue critiche hanno un forte connotato politico, invitando a riconsiderare gli ultimi anni di storia patria: in tutte le tappe della nuova Europa basata sullo strapotere di asuterità e rigore, è mancata a Roma una reale capacità propositiva. L’unico piano presentato da un esponente governativo italiano capace di avere un peso reale, il memorandum di Paolo Savona del 2018, è stato depotenziato dalla divergenza di obiettivi nel primo governo Conte. Per il resto, l’Italia ha risposta “Ja” o “Oui”a proposte formulate usualmente in tedesco o in francese e corrispondenti a interessi nazionali esteri. Alimentando una tendenza alla riduzione della propria posizione negoziale che oggi viene a galla con tutta la sua gravità.
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