Coronavirus, perché tutti snobbano la terapia con il plasma iperimmune?
Roma, 4 mag – Cura con il plasma: si o no? Risalgono ai primi giorni di aprile le notizie relative alla plasmaterapia adottata in alcune città della Lombardia nel trattamento del coronavirus. La terapia, basata per l’appunto sulla somministrazione del plasma dei pazienti guariti che hanno sviluppato gli anticorpi contro il Sars-CoV-2, aveva iniziato a dare i suoi frutti negli ospedali di Pavia e Mantova, i quali avevano iniziato un protocollo di sperimentazione, senza però incontrare un diffuso interesse dei media – fino al 21 aprile scorso, data in cui si segnalava la guarigione di una 28enne incinta grazie al trattamento con due sacche di plasma iperimmune. La donna era ricoverata al Carlo Poma di Mantova, e si trovava in cura preso il reparto di pneumologia e l’unità di terapia intensiva respiratoria guidati dal dottor De Donno.
Nel mirino dei Nas
Reparto che alcuni giorni dopo è finito sotto la lente d’ingrandimento dei Nas, i quali hanno chiesto informazioni sulla 28enne guarita. Lo ha confermato lo stesso De Donno: «I Nas – ha detto – hanno fatto una semplice telefonata in ospedale per raccogliere sommarie informazioni su quello che stavamo facendo. Dopo quella telefonata non ho più sentito nulla e sono trascorsi alcuni giorni». La stessa telefonata è arrivata al direttore generale dell’Asst di Mantova (altra struttura impegnata nel protocollo sperimentale) Raffaello Stradoni: «Non so perché – ha detto – i Nas si siano interessati della vicenda della donna incinta. Il protocollo sperimentale è rigido e consente il trattamento solo su alcuni pazienti con determinate caratteristiche». Il protocollo, però, non prevedeva infusioni su donne gravide: «Ma quel caso – risponde Stradoni – rischiava di finire male e, quindi, abbiamo proceduto, salvando due vite».
I risultati
Ma il trattamento, funziona o meno? Stamattina il Dott. De Donno riferisce ad AdnKronos che «Tra Mantova e Pavia abbiamo trattato quasi 80 pazienti col plasma. Di tutti questi pazienti, che avevano problemi respiratori gravi ma non gravissimi, nessuno è deceduto, la mortalità del nostro protocollo finora è zero». Ma a buttare l’acqua sul fuoco si sono subito impegnati virologi e stampa mainstream, affrettandosi a spegnere gli entusiasmi su di una cura che ha mostrato risultati interessanti.
Burioni spegne gli entusiasmi
Il virologo Burioni, ad esempio, si era espresso valutando i pro e i contro del trattamento, sottolineando come non fosse «nulla di nuovo», poiché già in Cina si era sperimentata questa terapia, bollandola come «Una prospettiva interessante, ma d’emergenza. Non può essere utilizzata ad ampio spettro». «(Questa cura) diventa interessantissima nel momento in cui riusciremo a stabilire con certezza che utilizzare i sieri dei guariti fa bene, perché avremo aperta una porta eccezionale per una terapia modernissima: un siero artificiale» prodotto in laboratorio. E quegli 80 pazienti trattati?
Dichiarazioni a cui De Donno ha così risposto: «Siamo riusciti a Mantova, insieme con Pavia, a realizzare questa sperimentazione che è molto seria anche se qualcuno ha voluto farla passare addirittura per una cosa ciarlatanesca. Non solo il professor Burioni, ma anche altri. Su di me in queste ore ne hanno dette di ogni. Lui si permette giustamente di andare a parlare in tv, noi ci permettiamo di lavorare 18 ore al giorno al fianco dei nostri pazienti». E prosegue: «Non abbiamo mai detto di aver creato qualcosa di nuovo, abbiamo perfezionato un’idea che già esisteva».
Oppure vi è il caso di Open, che si è precipitato a precisare tutti i limiti della terapia, puntualizzando come i soggetti trattati non fossero ancora in rianimazione e come la cura non possa essere applicata ai pazienti in intensiva. Una caratteristica, questa, che è ben lungi dall’essere un limite: lo stesso governatore della Lombardia Fontana ha infatti dichiarato che «in molti casi consente di evitare ai pazienti la rianimazione e sapendo quanto sia dura, questo è già un incredibile traguardo contro il maledetto Covid».
I primi risultati incoraggianti e promettenti, stranamente non sembrano interessare le istituzioni italiane: «Abbiamo provato a contattare il ministero della Salute ma è stato inutile. Nessun segnale nemmeno dall’Istituto Superiore di Sanità. Per ora stanno alla finestra», ha denunciato al Corriere De Donno. E’ inspiegabile come un trattamento che ha fino ad ora permesso a 80 pazienti di evitare la terapia intensiva – e quindi di non intasare reparti già carenti risparmiando letti per coloro che arrivavano in condizioni già gravi – non stia incontrando l’interesse di ministeri e task force.
Cristina Gauri