Ritardi, omissioni, errori: così l’Oms ha favorito la diffusione del coronavirus
Roma, 4 mag – Per iniziare questo nuovo capitolo sulle fake news, sugli omissis e sulla disinformazione dedicato all’Organizzazione mondiale della sanità, non si può prescindere dal servizio del Tgr Leonardo, mandato in onda il 17 febbraio 2020.
Il video è stato completamente ignorato dalla stampa mainstream e dai programmi Rai, che hanno preferito tacciare di complottismo chi si faceva le dovute domande sul precedente servizio del Tg Leonardo del 2015. Il video del 17 febbraio si chiude con il giusto interrogativo sul laboratorio BSL-4 di Wuhan: “Il nuovo coronavirus potrebbe essere uscito da qui?”.
Per il “Comitato tecnico-scientifico” di Report, gli italiani non si dovrebbero interrogare su ciò che è successo realmente in Cina, nonostante il 34 per cento dei primi infetti da Covid-19 non avesse avuto nessun contatto con il wet market di Wuhan, e nemmeno il paziente uno, e nonostante le carenze nei protocolli di sicurezza riscontrate proprio dallo stesso direttore del laboratorio BSL-4, Yuan Zhiming, in un articolo pubblicato dalla rivista specializzata Journal of Biosafety and Biosecurity, nel quale affermava: “Dovremmo prontamente rivedere le normative esistenti, le linee guida, le norme e gli standard di biosicurezza”. Perché tutto questo impegno per cercare di nascondere la possibile origine in laboratorio del coronavirus? Ci sono di mezzo possibili responsabilità dell’Organizzazione mondiale della sanità? L’agenzia speciale delle Nazioni Unite è presente da tempo a Wuhan con una propria delegazione.
Il ruolo dell’Oms in Cina
L’Oms opera direttamente con l’inserimento dei propri rappresentanti in sessantasei strutture in Cina. Tra questi, si possono evidenziare la National Health Commission of the People’s Republic of China (ministero della Sanità cinese) e il Chinese Center for Disease Control and Prevention (agenzia indipendente del National Health Commission), ovvero le istituzioni governative che hanno concesso le autorizzazioni necessarie al laboratorio BSL-4 e i relativi permessi per la manipolazione dei virus patogeni. Tutto ciò è documentato nel libro “Coronavirus.Tutto ciò che non torna sull’epidemia che ha scosso il mondo” edito da Altaforte Edizioni. Infatti l’Oms ha eletto il National High-level Bio-Safety Laboratory di Wuhan come proprio “laboratorio di riferimento”. Peraltro, il suddetto laboratorio è stato progettato, costruito e certificato attraverso una stretta partnership tra Cina e Francia.
Omissioni e ritardi dell’Oms
L’Oms ha diramato il primo rapporto epidemiologico solo il 21 gennaio, ben cinquantadue giorni dopo il primo caso accertato di coronavirus a Wuhan (primo dicembre 2019), e ventuno giorni dopo la chiusura del “wet market” di Wuhan. Addirittura, come riportato da un suo tweet pubblicato il 14 gennaio, l’Organizzazione affermava che “da indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non è stata trovata alcuna evidenza di trasmissione da uomo a uomo del nuovo coronavirus identificato a Wuhan”, nonostante il 9 gennaio precedente le autorità cinesi avessero già informato ufficialmente l’Oms in merito all’isolamento del virus, alla sua sequenza genetica, e al focolaio di polmonite registrato dal dicembre 2019. È altresì curioso che, già il 12 gennaio, l’Organizzazione mondiale della sanità, nel completo silenzio del suo centro direttivo, avesse già iniziato a fornire i kit per l’analisi RT-PCR (reazione a catena della polimerasi inversa), distribuiti con i tamponi dalle autorità di Pechino in tutta la provincia dell’Hubei dal 16 gennaio.
Sempre il 12 gennaio negli aggiornamenti sulle notizie dell’epidemia, l’Organizzazione mondiale della sanità scriveva: “L’Oms sconsiglia l’applicazione di eventuali restrizioni di viaggio e commerciali rivolti alla Cina in base alle informazioni attualmente disponibili su questo evento” perché “rassicurata della qualità delle indagini in corso e delle misure di risposta attuate a Wuhan e dell’impegno a condividere regolarmente le informazioni”. Dopo le pregresse epidemie di coronavirus, come Sars e Mers, e i sintomi comuni della malattia, non ci si spiega quindi il motivo della lenta risposta alla probabile emergenza dell’Oms, che ha portato alla veloce diffusione del coronavirus in tutto il mondo. A cosa serve un’onerosa agenzia speciale delle Nazioni Unite, con una fitta rete di rappresentanza distribuita in ogni angolo del mondo, se non nel monitorare le minacce alla salute globale prima che queste diventino pandemie? L’annuncio di “emergenza sanitaria globale” dell’Oms arriva solo il 30 gennaio, quando in Cina si registravano già 9.692 persone contagiate e 1.981 decessi. Il 16 febbraio l’Organizzazione invia finalmente una sua delegazione di esperti a Pechino per condurre un’indagine completa. Nel rapporto stilato, vengono evidenziati casi sospetti di coronavirus già nell’ottobre 2019, mentre non viene accertato l’ospite intermedio del virus, quello cioè che avrebbe causato il salto di specie da animale a umano.
L’Oms, il governo italiano e il “piano segreto”
Tutte le ordinanze, tutti i decreti e tutte le circolari del governo italiano sono stati redatti secondo i protocolli dell’Organizzazione mondiale della sanità, come ribadito più volte da Giuseppe Conte e dal ministro Roberto Speranza, il quale ha pure nominato come consigliere Walter Ricciardi, rappresentante italiano nel comitato esecutivo dell’Oms, scelto nel 2017 dal governo Gentiloni. Si rintraccia il primo apporto dell’Oms nella delibera del 31 gennaio 2020: “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. La delibera è la diretta conseguenza di un “piano secretato non spaventare la popolazione e lavorare per contenere il contagio” realizzato il 20 gennaio scorso, come ha poi affermato Andrea Urbani, direttore generale della Programmazione sanitaria del ministero della Salute. Nel testo pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, si legge: “Vista la dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus (PHEIC) dell’Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020; viste le raccomandazioni alla comunità internazionale della Organizzazione mondiale della Sanità circa la necessità di applicare misure adeguate”.
Quindi, il governo Conte si è subito sdraiato sulle posizioni dell’Oms e così ha continuato fino all’ultimo decreto varato in merito alla fase 2: “Vista la dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020 con la quale l’epidemia da Covid-19 è stata valutata come un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale; vista la successiva dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della sanità dell’11 marzo 2020 con la quale l’epidemia da Covid-19 è stata valutata come ‘pandemia’ in considerazione dei livelli di diffusività e gravità raggiunti a livello globale”. Pure la chiusura totale dell’Italia, decreto varato dal governo quando i buoi ormai erano fuggiti dalla stalla, è coincisa con la dichiarazione ufficiale di pandemia sancita dall’Oms l’11 marzo. Perciò, il governo ha avviato tardivamente il piano di contenimento del virus, quando si registravano già 10 mila casi di contagio e 631 decessi, solo perché stava timorosamente aspettando le direttive dall’alto.
L’Oms e gli errori sulle mascherine
Pure sull’inutilità delle mascherine, il governo italiano ha seguito, senza contestare, le indicazioni dell’Oms, che per giunta non ha mai invitato preventivamente gli Stati alla produzione e all’acquisto dei dispositivi di protezione individuale. Durante la conferenza stampa della Protezione civile del 25 febbraio scorso, Walter Ricciardi affermava che “le mascherine alla persona sana non servono a niente”. Poi si è scoperto il problema degli asintomatici, ovvero le persone affette da Covid-19 che non mostravano segni della malattia, e che per questo non erano soggette alla quarantena obbligatoria. Se dall’inizio dell’emergenza tutti i cittadini fossero stati forniti di mascherine, che per un lungo periodo sono state introvabili a causa della miopia dell’Oms e del governo italiano, il virus probabilmente non avrebbe trovato la corsia di sorpasso libera.
La posizione di Ricciardi è stata ribadita anche il 20 marzo, durante una conferenza stampa, da Maria Van Kerkhove, responsabile per il coronavirus dell’Organizzazione mondiale della sanità: “Le mascherine servono a chi lavora in prima linea, se non ne avete bisogno per favore non indossatele”. Purtroppo l’Oms non ha fatto ancora marcia indietro. Nell’ultima versione del documento “Consigli sull’uso delle maschere nel contesto di Covid-19”, si legge: “L’uso delle mascherine nella collettività può creare un falso senso di sicurezza e causare la trascuratezza delle altre misure essenziali, come l’igiene delle mani e l’allontanamento fisico, comportando costi inutili e togliendo le mascherine a chi si occupa di assistenza sanitaria che ne ha più bisogno, soprattutto quando le mascherine scarseggiano (…) Il diffuso ricorso all’uso delle mascherine da parte di persone sane nel contesto sociale non è supportato dalle evidenze scientifiche attuali e comporta incertezze e rischi critici”. Nonostante quanto affermato dall’Oms e a cascata dalle istituzioni italiane, una ricerca dell’Università di Oxford e dell’Università di San Francisco, pubblicata il 27 aprile dalla rivista Evidence della Fondazione Gimbe, documenta che “indossare una mascherina di cotone riduce di 36 volte la quantità di virus trasmessa, ed è addirittura più efficace della mascherina chirurgica: ovvero si trasmette solo 1 trentaseiesimo della quantità di virus, diminuendo la carica virale e riducendo verosimilmente la probabilità del contagio, oppure determinando sintomi più lievi”. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha aggiunto: “I progressi della scienza hanno messo in luce che la trasmissione da soggetti asintomatici, largamente sottostimata, rappresenta il tallone d’Achille delle strategie per contenere la pandemia”.
Gli asintomatici e la giusta “ribellione” di Zaia
Il 15 aprile, l’autorevole rivista scientifica Nature ha pubblicato una ricerca, condotta dall’Università di Hong Kong, nella quale si dimostra che i soggetti asintomatici sono responsabili di almeno il 44 per cento dei contagi e per questo motivo “le misure di controllo della malattia devono essere adeguate per tenere conto della probabile trasmissione presintomatica”. Lo stesso dato è stato dimostrato dallo “Studio di Vo’” pubblicato il 16 aprile in preprint, condotto da un team di epidemiologi della Regione Veneto sul paese padovano di Vo’ Euganeo, dove è stato registrato il primo caso di decesso per coronavirus il 21 febbraio 2020. La ricerca condotta dal professor Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova, ha confermato che “su una popolazione reale, quella di Vo’, di 2.800 individui al primo campionamento (effettuato a fine febbraio, dal 21 al 29) e di 2.300 al secondo campionamento (effettuato il 7 marzo), era asintomatico il 43 per cento dei positivi al virus”. Lo studio ha spinto la Regione Veneto ad impostare la campagna di tamponi per anticipare gli spostamenti del virus, nonostante non rispettasse i protocolli del ministero della Salute che seguivano i dettami dell’Oms. La strategia ribelle del presidente Luca Zaia si è poi di fatto rivelata efficace nel contenimento dei contagi. Contro la Regione Veneto, era intervenuto Walter Ricciardi che, il 27 marzo in diretta televisiva, affermava: “L’autonomia delle regioni ha determinato che si facessero tamponi a soggetti asintomatici, non seguendo l’evidenza scientifica“, ribadendo la posizione dell’Oms.
Il 18 aprile, intervenendo a Otto e Mezzo, il professor Crisanti aveva dichiarato: “C’è stata una grande confusione a livello centrale basata ostinatamente sull’adesione a direttive dell’Oms, su presupposti sbagliati. La verità era davanti a tutti. Il 26 febbraio, quando la Regione Veneto ha pubblicato i dati di Vo’, c’erano il 3 per cento degli infetti e il 45 per cento degli asintomatici. Io mi chiedo ma questi dati chi li doveva vedere? La Regione Veneto, l’Istituto superiore di sanità, il ministero della Salute o gli esperti della sanità? Ad un certo punto, su questi dati dovevano essere aggiustate determinate decisioni e determinate direttive”.
Se segui le direttive dell’Oms sbagli
Infatti, le direttive del ministro della Salute, Roberto Speranza, hanno escluso la possibilità di effettuare i test diagnostici ai soggetti asintomatici, sia nel protocollo del 27 gennaio, sia in quello del 9 marzo: “Il caso sospetto di Covid-19 che richiede esecuzione di test diagnostico: 1. Una persona con infezione respiratoria acuta (insorgenza improvvisa di almeno uno tra i seguenti segni e sintomi: febbre, tosse e difficoltà respiratoria); 2. Una persona con una qualsiasi infezione respiratoria acuta; 3. Una persona con infezione respiratoria acuta grave (febbre e almeno un segno/sintomo di malattia respiratoria – es. tosse, difficoltà respiratoria)”. Come evidenziato dai protocolli del ministero della Salute, le disposizioni hanno ricalcato “le nuove evidenze scientifiche e le indicazioni degli organismi internazionali Oms e ECDC”, ovvero la stessa Organizzazione mondiale della sanità che, al termine del sopralluogo in Cina del febbraio scorso, nel rapporto finale scriveva: “La percentuale di infezioni veramente asintomatiche non è chiara ma sembra essere relativamente rara e non sembra essere un fattore trainante della trasmissione”. Solo il primo aprile, la responsabile per il coronavirus dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Maria Van Kerkhove, sottolineerà la necessità di tracciare anche i casi asintomatici per prevenire la diffusione del coronavirus: “Sappiamo da ciò che abbiamo studiato in Cina che il 75% dei casi che non avevano mostrato i sintomi inizialmente li hanno alla fine mostrati”.
L’Oms e l’errore sull’immunità dei pazienti guariti
Il 24 aprile, il rapporto “Immunity passports” dell’Oms asseriva: “A questo punto dell’epidemia non ci sono prove sufficienti sull’efficacia di un’immunità mediata dagli anticorpi per garantire l’accuratezza di un ‘passaporto di immunità’ o di un ‘certificato zero-rischi’”. Quindi, l’Organizzazione mondiale della sanità affermava che non ci sono prove che i guariti siano immuni dal Covid-19. Qualche giorno dopo, il 29 aprile, arriverà una nuova evidenza scientifica che smentisce ancora una volta l’Oms. Infatti, la rivista Nature Medicine ha pubblicato la ricerca “Antibody responses to SARS-CoV-2 in patients with Covid-19“, dove si dimostra che non ci sono evidenze di persone ammalate di Covid-19 due volte: “Segnaliamo risposte anticorpali acute a SARS-CoV-2 in 285 pazienti con COVID-19. Entro 19 giorni dall’esordio dei sintomi, il 100% dei pazienti è risultato positivo all’immunoglobulina G (IgG) antivirale”. Ovvero, tutti i malati hanno sviluppato gli anticorpi entro 19 giorni e non esiste nessuna prova scientifica di seconde infezioni.
Bill Gates e l’indipendenza dell’Oms
In tanti si sono interrogati sulla presunta sudditanza dell’Oms al governo cinese che ha portato alla cattiva gestione dell’emergenza coronavirus, in primis il presidente americano Trump: “La realtà è che l’Oms non ha adeguatamente ottenuto, verificato e condiviso informazioni in modo tempestivo e trasparente”. Per questo motivo, il 15 aprile gli Stati Uniti hanno sospeso i finanziamenti destinati all’Organizzazione mondiale della Salute fino al termine dell’inchiesta avviata. Ciò che non è ancora stato sufficientemente evidenziato è però l’interdipendenza tra l’Oms e Bill Gates, secondo finanziatore mondiale alle spalle degli Stati Uniti nel 2018. Dallo scoppio dell’epidemia di coronavirus ad oggi, la Bill & Melinda Gates Foundation ha donato 415 milioni di dollari, destinati alla ricerca di una cura/vaccino e alla risposta globale all’emergenza, di questi 250 milioni di dollari in seguito all’annuncio di Trump in merito alla sospensione dei fondi all’Oms.
Questa azzardata commistione tra interesse pubblico (Oms) e privato (Gates) è perfettamente rappresentato dall’International Vaccine Access Center (Ivac) del John Hopkins Center for Health Security, che “dal 2003 è diventata partner affidabile di governi, agenzie internazionali, gruppi di ricerca e organizzazioni no profit che cercano di far progredire l’accesso alle vaccinazioni salvavita per tutte le persone”. L’Ivac è finanziato dall’Oms, dalla fondazione di Gates, dall’agenzia governativa americana Centers for Disease Control and Prevention, da diversi ministeri della Salute, da istituti di ricerca e dalle case farmaceutiche. Nel sito dell’Ivac si legge: “I vaccini aiutano a creare un mondo in cui le persone e le comunità sono libere dalle conseguenze sanitarie, economiche e sociali delle malattie prevenibili. Per contribuire a realizzare questa promessa rivolta a miliardi di persone in tutto il mondo, Ivac sviluppa conoscenza e supporto per il valore dei vaccini”. Questa affermazione è perfettamente in linea con l’agenda sanitaria di Bill Gates che prevede, come diverse volte affermato, il ritorno alla normalità tra uno o due anni, quando sarà disponibile globalmente un vaccino efficace contro il coronavirus e magari anche il libretto delle vaccinazioni tatuato sottopelle (ricerca realizzata e pubblicata a inizio gennaio 2020 grazie al sostegno della fondazione di Gates).
Ai primi di maggio è stata lanciata l’iniziativa della Commissione europea, dei capi di stato e di governo di Italia, Francia, Germania e Norvegia, che insieme col numero uno del Consiglio Ue, hanno annunciato un piano di cooperazione globale per la ricerca di un vaccino che azzeri il coronavirus, una mossa che coinvolgerà scienziati e autorità di normazione, industria e governi, organizzazioni internazionali, fondazioni e operatori sanitari. La Commissione europea ha dichiarato: “Sarà una cooperazione globale senza precedenti che coinvolgerà scienziati e autorità di normazione, industria e governi, organizzazioni internazionali, fondazioni e operatori sanitari. Sosteniamo l’Oms e siamo lieti di unire le forze con organizzazioni esperte come la fondazione Bill & Melinda Gates e il Wellcome Trust”. Non si era mai vista nelle pandemie precedenti una così robusta e tempestiva campagna globale per la scoperta, la produzione e la distribuzione del vaccino, come non si erano mai viste simili restrizioni alle libertà individuali delle persone. Perciò, suona come un lugubre presagio l’affermazione di Walter Ricciardi del 16 aprile: “Non ci sarà bisogno di introdurre l’obbligo per il vaccino contro il coronavirus perché la gente ha sperimentato cosa significa avere paura di una malattia”. Si potrà tornare alla reale normalità solo dopo l’inoculazione a tappetto del vaccino, resa di fatto obbligatoria dal terrorismo sanitario? Concludendo, non si può dimenticare che tra i finanziatori dell’Oms sono presenti diverse Big Pharma, come Roche, Sanofi, Johnson & Johnson, Merck, Novartis, Gilead Sciences e GlaxoSmithKline. Nessun conflitto di interessi?
Francesca Totolo