Virus, la “guerra” degli esperti che ha stravolto le nostre vite
“Il primo consiglio fondamentale è non essere preoccupati”. Parole rassicuranti, che arrivavano dagli esperti quando, a fine gennaio, il nuovo coronavirus stava mettendo in ginocchio la Cina. Ma in Italia, l’arrivo della pandemia sembrava un’evento improbabile. Con il passare dei giorni, però, anche il nostro Paese ha sperimentato la vulnerabilità al Sars-CoV-2 e l’aggravarsi della situazione è andato di pari passo con il cambiamento dei toni degli esperti.
L’epidemia in Cina
“È un evento fondamentalmente centrato in Cina”, diceva il presidente dell’istituto superiore della Sanità (Iss), Silvio Brusaferro, lo scorso 31 gennaio, spiegando come in quella fase bastasse prestare “attenzione all’igiene personale, le stesse misure per evitare l’influenza”. L’epidemia da nuovo coronavirus, infatti, era ancora confinata alla Cina e i pochi casi verificatisi in altri Paesi erano tutti riconducibili ai dintorni di Wuhan, epicentro del contagio. Inoltre, il blocco dei voli messo in atto dall’Italia faceva pensare a una diminuzione della “probabilità di arrivo di pazienti infetti”. A inizio febbraio, Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Iss, spiegava che “la diminuzione del volume di passeggeri in arrivo da zone a rischio riduce la probabilità di introduzione dell’infezione attualmente, ma ciò non vuol dire che il peggio sia passato in quanto bisogna tenere altissima l’attenzione finché i focolai cinesi particolarmente attivi non saranno posti sotto controllo”. Inoltre, l’esperto aggiungeva come “non essendoci attualmente circolazione del nuovo coronavirus in Italia, la stragrande maggioranza delle febbri rilevate in questo momento sono attribuibili al virus influenzale”. Niente che lasciasse presagire l’arrivo del Sars-CoV-2 in Italia. Parole rassicuranti arrivavano anche dalla virologa Ilaria Capua che, ospite di In mezz’ora in più su Rai3 il 9 febbraio, spiegava: “Fuori dalla Cina, solo uno o due decessi, e non forme gravi, mi sento di rassicurare italiani ed europei. La Cina con la propria quarantena sta rallentando l’uscita dell’infezione permettendo agli altri Paesi di organizzarsi”.
Il 13 febbraio, Giovanni Rezza, sosteneva che febbre e tosse fossero da attribuire all’influenza: “In questo periodo in cui il nuovo coronavirus non è ancora presente in Italia, i sintomi nella stragrande maggioranza dei casi sono attribuibili all’influenza”. Il giorno dopo, la virologa Capua aveva avvisato che il coronavirus sarebbe arrivato in italia. E infatti, il 21 febbraio 2020, è stato registrato a Codogno il primo italiano contagiato.
“Nessuna epidemia in Italia”
Il 22 febbraio, però, c’era chi parlava di “eccessivo allarmismo”, ricordando che “19 casi su una popolazione di 60 milioni di abitanti rendono comunque il rischio di infezione molto basso”. A sostenerlo era Giovanni Maga, direttore Cnr-Igm, Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche. Secondo l’esperto, al di fuori delle zone del focolaio “la situazione rimane come nelle scorse settimane”. E precisava: “Non serve correre al pronto soccorso nè chiudersi in casa. Ricordiamo che al momento parliamo di un gruppo (cluster) di pochi casi localizzati e i cui contatti sono tracciati attivamente”. Nulla faceva pensare che la situazione si sarebbe aggravata. “Non c’è un’epidemia di Sars-CoV2 in Italia”, affermava Maga. Allo stesso tempo, però, prendeva in considerazione anche la possibilità di un cambiamento della situazione. Parlava di “altri piccoli focolai come quello attuale”. Per questo aveva ribadito: “Al di fuori dell’area limitata in cui si sono verificati i casi, il cittadino può continuare a condurre una vita assolutamente normale. Seguendo le elementari norme di igiene, soprattutto levandosi le mani se ha frequentato luoghi affollati, ed evitando di portarsi alla bocca o agli occhi le mani non lavate”.
“È come l’influenza”. La lite Gismondo-Burioni
“Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così”, sosteneva il 23 febbraio Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio di analisi dell’ospedale Sacco di Milano, convinta che intorno al Covid-19 si fosse creato un eccessivo allarmismo, tanto da lanciare un appello per chiedere di “abbassare i toni”. Una dichiarazione che aveva trovato in disaccordo il virologo Roberto Burioni: “Qualcuno, da tempo, ripete una scemenza di dimensioni gigantesche: la malattia causata dal coronavirus sarebbe poco più di un’influenza. Ebbene, questo purtroppo non è vero- scriveva su Medical Facts– In questo momento in Italia sono segnalati 132 casi confermati e 26 di questi sono in rianimazione (circa il 20%). Sono numeri che non hanno niente a che vedere con l’influenza (i casi gravi finora registrati sono circa lo 0,003% del totale). Questo ci impone di non omettere nessuno sforzo per tentare di contenere il contagio. Niente panico, ma niente bugie”. Nel “dibattito” tra i due esperti si era inserita anche la virologa Capua che, in un’intervista al Corriere Adriatico aveva dichiarato: “Bisogna comportarsi come se fosse in arrivo una brutta influenza”. Per questo, aveva aggiunto, “credo che ci sia un allarme mediatico non giustificato dal comportamento reale dell’infezione”.
L’epidemia in Italia
Diverso, invece, il parere dell’epidemiologo Pierluigi Lopalco, che tuonava: “Basta paragonare influenza e Covid-19. Una sciocchezza infinita! I virus influenzali li incontriamo ogni anno, siamo abituati alla loro presenza. Il coronavirus SarsCoV2 è un perfetto sconosciuto per il nostro sistema immune. Il servizio sanitario nazionale deve prepararsi a ricevere l’impatto di un’onda anomala”.
La situazione in Italia stava iniziando ad aggravarsi, lasciando presagire un’evoluzione negativa dell’epidemia. E, infatti, all’inizio di marzo, Silvio Brusaferro aveva spiegato: “La situazione è in rapida evoluzione, va monitorata costantemente per eventualmente rafforzare le misure da adottare”. Pochi giorni dopo, nel corso della conferenza stampa della protezione civile, aveva aggiunto: “È importante che nessuno si senta immune e ognuno si senta coinvolto nell’adottare misure che aiutino a contenere i contagi. Bisogna adottare queste misure come standard. L’attenzione verso queste misure è molto importante”.
Nello stesso periodo, il virologo Burioni scriveva sui social, tradendo preoccupazione, di avere “la sensazione che molta, troppa gente non abbia capito con che cosa abbiamo a che fare. Forse alcuni messaggi troppo tranquillizzanti hanno causato un gravissimo danno inducendo tanti cittadini a sottovalutare il problema”. Ed era tornato sul dibattito virus-influenza, sottolineando: “Questo virus non è un’influenza, ora è sotto gli occhi di tutti, centinaia di morti, rianimazioni strapiene”. “Bisogna prendere misure su tutto il territorio nazionale, fare due mesi di sacrifici per contenere questo virus che non è un’influenza”, aveva precisato Giovanni Rezza il 9 marzo, il giorno in cui il governo ha deciso di mettere l’italia in lockdown.
Verso la pandemia
“Ora che il coronavirus ha messo piede in così tanti Paesi, la minaccia di una pandemia è diventata molto reale”. Così il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, aveva descritto la situazione globale legata al nuovo coronavirus nei primi giorni di marzo. Ma, aveva aggiunto, “sarebbe la prima pandemia nella storia a essere controllabile”. Per questo, nonostante le pressioni da parte di diversi Paesi, l’Oms non aveva dichiarato la pandemia, lasciando il coronavirus al livello di una “epidemia irregolare a livello globale” e ricordando la linea di fondo: “Non siamo in balia di questo virus”.
Ma due giorni dopo, l’11 marzo 2020, l’Oms ha dichiarato la pandemia. “Nelle ultime due settimane, il numero di casi di Covid-19 al di fuori della Cina è aumentato di 13 volte e il numero di paesi colpiti è triplicato”, aveva annunciato il direttore generale, specificando come questa non sia “solo una crisi di salute pubblica, ma una crisi che toccherà tutti i settori”.
“Per noi cambia poco”, aveva commentato Roberto Burioni, dopo la decisione dell’Oms, invitando i cittadini a rimanere a casa, seguendo le indicazione che il governo aveva già diffuso a inizio marzo. E aveva ribadito: “Basta minimizzare, non siamo bambini di 5 anni. Il virus non è un’influenza, non muoiono solo i vecchi e i malati. Ormai direi che questo è chiaro a tutti”. Dello stesso avviso anche Giovanni Rezza: “La dichiarazione di pandemia a noi non aggiunge molto. Ci colpisce poco che l’Oms dichiari la pandemia, noi abbiamo un’epidemia dentro casa”.
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