Quei nostri poveri figli. Reclusi in casa e costretti a cantare Bella Ciao dalle maestre
Roma, 23 apr – “Qualcuno pensi ai bambini!” gridava ogni volta la moglie del reverendo Lovejoy sui Simpson di fronte a qualsiasi problema o pericolo. Pur con qualche ansia in meno del personaggio disegnato da Matt Groening, potremmo far nostro quel monito ai tempi dell’emergenza coronavirus. L’età media dei morti da Covid-19 è di circa ottant’anni, normale dunque che l’attenzione mediatica si concentri sugli anziani, le stragi nelle case di riposo etc. In prima linea poi ci sono medici e infermieri, altrettanto lecito che i riflettori siano per “i nostri eroi”. Sul piano politico poi la questione dell’economia, con la crisi di fabbriche e attività commerciali causa lockdown che ci riguarda tutti, i posti di lavoro a rischio etc, non può non essere prioritaria. E così all’ultimo gradino del dibattito pubblico ecco apparire i più giovani.
Bambini untori come i runner
In realtà c’era stata un’apparizione mediatica sporadica, in qualità di untori al pari dei runner. Bambini e genitori incoscienti che volevano gettarci nel baratro del contagio per farsi la passeggiatina. Per fortuna siamo ancora tutti salvi, nonostante questa insana voglia di far uscire un’oretta al giorno i bambini dalle mura domestiche. C’è poi il tema scuola, dove per fortuna l’Italia non segue la linea di quelle improvvide nazioni europee, TUTTE pronte a far tornare gli alunni in classe prima dell’estate. Siamo fortunati noi ad essere più prudenti e ad avere un ministro come l’Azzolina, che FORSE farà tornare i ragazzi in classe a settembre e manco è detto. Tanto che differenza c’è tra la didattica a distanza e quella fisica? Alla fine basta un tablet no? Li facciamo distribuire alle famiglie che non ce l’hanno, così magari quei nuclei poveri ma numerosi che vivono in 60 metri quadri sicuramente avranno la possibilità di garantire un’ottima formazione ai propri figli, senza caos, problemi di connessione, distrazioni di sorta. Sarà tutto fantastico e incredibilmente moderno.
I ragazzi devono stare all’aria aperta
I bambini e i ragazzi sono la vera categoria dimenticata di questa pandemia. Non sembra di molto interesse il danno psicologico, culturale, formativo che una emergenza del genere avrà sui più piccoli, tra la paura di uscire di casa e di affrontare un mondo infetto, la socialità limitata così come le esperienze. Questo sì che è un ritardo culturale dell’Italia con il Nord Europa; da noi la dimensione pubblica e sociale dell’educazione dei bambini è sottostimata. Non è un caso che saremo gli ultimi a riaprire le scuole, così come non è un caso che, dopo un mese e mezzo di quarantena, abbiamo l’Istituto superiore di sanità che ci consiglia di allestire un bowling casalingo o di far fare il salto in lungo ai nostri figli in salotto. Ma vabbè, l’Iss è abitato dagli stessi scienziati che fino all’altro ieri parlavano di contagio non facile e inutilità delle mascherine.
Ci mancava il 25 aprile
Ad aggravare una situazione già difficile c’è poi l’indottrinamento delle maestrine. Queste signore che magari scompaiono per settimane, non troppo preoccupate dal percorso di apprendimento interrotto, che si svegliano all’improvviso in vista del 25 aprile, animate da uno spirito pedagogico che manco fossero delle novelle Montessori. Vi abbiamo raccontato della penetrazione dell’Anpi nelle scuole elementari della provincia di Torino, con la richiesta alle famiglie di realizzare un video con i bimbi che cantano Bella Ciao. Ci arriva poi una segnalazione da Zagarolo, in provincia di Roma, dove alle scuole medie chiedono agli studenti di inviare una registrazione cantata o suonata di Bella Ciao, accompagnata da “mappa manoscritta o una sintesi sulle origini e successive evoluzioni del brano”.
Rimanendo poi in provincia di Roma non vengono risparmiati nemmeno gli asili. E’ il caso di un paese alle pendici del monte Soratte, dove ai bambini di 5-6 anni per il 25 aprile viene chiesto di studiare una filastrocca sulla festa della liberazione (dove tra le altre cose si parla di passare di “frontiera in frontiera come clandestini senza passaporto”), da imparare e poi re-interpretare. Anche qui proposta che arriva da una maestra che normalmente non si cura nemmeno di portare fuori i bambini in giardino, lasciati nelle ultime ore a dormire sul banco, scomparsa da quasi due mesi dai radar, che esce improvvisamente dal sarcofago per proporre un esercizio che sa chiaramente di propaganda. Poveri nostri figli dunque, reclusi in casa, spesso dimenticati e quando capita pure indottrinati.
Davide Di Stefano