“È la trombosi che uccide. Il mio mix di farmaci per sconfiggere il Covid”
Maurizio Viecca, primario di Cardiologia all’ospedale Sacco di Milano e pneumologo: lei ha avuto un’intuizione sulla cura dei malati gravi di Covid che pare vincente.
Lo chiamano già il Protocollo Viecca. Che risultati ha dato?
«L’osservazione è stata fatta su 5 pazienti e sono migliorati sensibilmente in poche ore».
Cosa ha cambiato nelle cure solite ormai adottate a suon di antivirali, chinino ed eparina?
«Ho osservato che alcuni pazienti passavano dal casco, il Cpap, all’intubazione, in modo troppo repentino, nel giro di un’ora e mezzo. Ma il processo infiammatorio generato dal virus, cioè la polmonite interstiziale bilaterale, non si aggrava così in fretta».
E allora?
«Questi pazienti avevano un aumento dei valori di didimero e una diminuzione di piastrine. Insomma c’era una trombosi in atto».
Ma non c’è già l’eparina per questo?
«Non si ottengono grandi benefici usata da sola. Però funziona se si aggiunge un farmaco che agisce sull’aggregazione delle piastrine».
C’entra con l’aspirina?
«L’antiaggregante capostipite che si dà a tutti i pazienti infartuati è l’aspirina. Nel mio protocollo ho aggiunto una combinazione di farmaci antiaggreganti che si associa al cocktail di farmaci antinfiammatori e antivirali».
E questo ha salvato i pazienti dall’intubazione?
«Chi era sotto pallone è passato alla mascherina, chi aveva la mascherina ha usato gli occhialini, cioè le cannule nel naso».
Dunque non si muore di polmonite ma di trombosi?
«É difficile morire per una polmonite interstiziale. E Manuela Nebuloni, la nostra anatomopatologa, su 30 autopsie effettuate ha riscontrato sempre una trombosi dei capillari polmonari».
Secondo lei perché questi contagi non si bloccano?
«Ci sono in giro moltissimi asintomatici, che dopo un mese sono ancora positivi. E tanti bambini sono portatori sani, così quando hanno chiuso le scuole sono stati con i nonni».
E il virus continua a contagiare.
«Serve uno screening a campione sul territorio per capire a che punto siamo. Inoltre la mascherina e il distanziamento sono fondamentali. Altrimenti, senza protezione, basta un giro in metro e si ricomincia con l’ecatombe».
Dunque è importante la medicina sul territorio?
«Bisogna far partire il progetto della piattaforma per le cure domiciliari. Dobbiamo liberare gli ospedali normali perché la gente muore anche di altre patologie. L’infarto non è andato in vacanza. E poi lo abbiamo capito dai cinesi che i contagiati non devono entrare negli ospedali normali. Abbiamo un ospedale della Fiera da sfruttare e farlo diventare un punto di riferimento per il coronavirus. Completiamolo anche per i pazienti che hanno bisogno solo di un’assistenza e non solo per chi deve andare in rianimazione».
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