Roberto Formigoni a Pietro Senaldi: “La verità sulla super sanità in Lombardia, il Pd attacca Fontana per prendersi la torta”
«Che vuole che le dica, io agli arresti domiciliari ho fatto l’ abitudine, mi dispiace per voi, rinchiusi da sei settimane». Tutta colpa sua, presidente «Anche questa? Suvvia». Massì, il sistema lombardo della sanità: la sinistra l’ ha messo sul banco degli imputati, spara a palle incatenate, i giornali compiacenti dicono fra le righe che lei ha messo su una macchina mortale, per questo in Lombardia ci sono stati tanti morti «La vedo disinformato. Ora le spiego cos’ era il modello Formigoni. Nel ’97 facemmo la rivoluzione. Inserimmo nel sistema sanitario pubblico lombardo alcune aziende private di grandissimo prestigio – parlo dell’ Istituto Oncologico di Veronesi, dell’ Humanitas, del San Raffaele -, strutture che erano delle eccellenze internazionali. Prima erano aperte solo a chi si poteva permettere le loro rette, oggi sono accessibili a tutti». Dicono che questo sistema ha impoverito gli ospedali pubblici. «Al contrario ha fatto nascere una concorrenza benefica che ha fatto schizzare la qualità della sanità lombarda ai massimi livelli. Tant’ è vero che hanno cominciato a venire a curarsi qui centinaia di migliaia di persone l’ anno, da tutta Italia ma anche da Francia, Germania e Gran Bretagna. E sceglievano anche ospedali pubblici. Grazie alla nostra rivoluzione il San Matteo di Pavia, gli Spedali Riuniti di Brescia, i milanesi Niguarda e Policlinico, il Papa Giovanni di Bergamo: sono saliti tutti nelle classifiche di qualità».
Per diciassette anni presidente della Lombardia, fino all’ autunno del 2012, Roberto Formigoni decide di rompere il silenzio sulla sanità e sul modello da lui creato, oggetto di pesanti accuse dalla sinistra. Lo fa con Libero, in esclusiva. L’ intento è porre fine alle speculazioni politiche sulle vittime di Covid-19. La tragedia lombarda, dovuta al fatto che la Regione è quella con più relazioni internazionali, densità abitativa e popolazione, viene sfruttata dalla sinistra per mettere in croce un sistema. «E non se ne capisce il motivo» precisa l’ ex presidente, «visto che paghiamo oltre il 20% delle tasse del Paese».
Dicono che le liste d’ attesa si sono allungate in Lombardia rispetto alle altre Regioni.
«Un’ altra menzogna: allargando l’ offerta ospedaliera, i tempi d’ attesa si sono accorciati, anche perché grazie alla nostra rivoluzione, le strutture sanitarie sono aumentate. La Lombardia è diventata un polo d’ eccellenza mondiale e medici eccellenti, i cosiddetti cervelli in fuga, sono tornati, attratti dal sistema. Quanto al paragone con le altre Regioni: ha idea di quante persone vogliono farsi curare qui e quante altrove?».
Un’ altra accusa è che le strutture private hanno puntato tutto su patologie e cure ad alto rendimento, per guadagnare di più, trascurando per esempio le terapie intensive
«Un’ altra balla. Nel 2011 il governo ha iniziato a ridurre i finanziamenti alla Sanità. Ci hanno imposto di passare dai sei posti letto ogni mille abitanti del ’92 agli attuali tre. Poi, come tutti sanno, dai vari governi sono stati tagliati 37 miliardi in otto anni».
La sanità però è in mano alle Regioni, sbaglio?
«La gestione ordinaria, ma non la cassa. Nel 2015 il governo Renzi obbligò le Regioni a tagliare in modo massiccio i posti letto. Per decreto vennero posti vincoli ai numeri dei reparti di terapia intensiva e ai letti relativi. Alla Lombardia vennero assegnati 134 padiglioni e 700 posti. Quando è arrivato il Covid, c’ erano 800 letti e 140 reparti di terapia intensiva. La Regione non rispettò la legge, ma per un eccesso di cura. Prima, il 23 dicembre del 2014, in concomitanza con il famoso varo degli 80 euro di Renzi, c’ era stato un altro taglio».
Però è vero che gli ospedali privati preferiscono orientarsi su terapie redditizie
«Guardi. Prima i rimborsi alle cliniche private avvenivano sulla base dei giorni di degenza. Quindi si tendeva a prolungare le ospedalizzazioni, anche non necessarie, per capitalizzare. Noi li abbiamo legati alle operazioni fatte, il che ha velocizzato anche l’ assistenza. Però la Lombardia ha più strutture e posti del massimo consentito dalle legge, come le ho dimostrato».
Perché allora tutti ce l’ hanno con la Lombardia?
«È in corso una lotta ideologica contro di noi. Siamo vittime della rabbia furiosa di chi per vent’ anni ha mangiato polvere, roso dall’ invidia, perché non poteva non ammettere che eravamo i numeri uno in Italia».
L’ invidia per il primo della classe?
«Dopo l’ Expo, che è stata una vittoria del centrodestra, lo voglio ricordare, Milano è diventata anche la capitale del turismo, oltre a esserlo già dell’ economia, del commercio e della sanità. Queste dita puntate da Roma contro di noi mi fanno insorgere brutti sospetti».
Vogliono prendersi la torta?
«Esatto. Attaccano il sistema lombardo per mettere le mani sul giocattolo. È una cosa schifosa. Il vice del Pd, Orlando, l’ ha detto chiaramente, parlando della necessità di commissariare la nostra sanità, e non solo. Ma portare la sanità lombarda sotto lo Stato significa livellarla all’ altezza di quella calabrese o sarda».
La sanità lombarda però costa
«Un’ altra fake-news. Noi siamo diventati i numeri uno pur essendo agli ultimi posti come quota capitaria ricevuta dallo Stato. E poi, mi lasci dire, il commissariamento sarebbe proprio la negazione di tutta la nostra filosofia, che mette al centro il malato, non il governo».
La solita lotta destra contro sinistra?
«Prima del modello Lombardia, era la Regione a dirti in quale ospedale dovevi curarti. Ora è il paziente, di qualunque città sia, a decidere la struttura e il medico. Il tutto gratis: le sembra poco? Noi abbiamo dato una fiducia totale al cittadino, ligi al detto per cui ciascuno è il miglior medico di se stesso».
Qualcosa però in Lombardia non ha funzionato. La famosa zona rossa nella Bergamasca?
«Ma quello non è un errore lombardo. Il presidente Fontana, scelta che condivido, ha deciso all’ inizio di gestire l’ emergenza con il governo. Mi sembra che non abbia ricevuto una risposta decisa alla richiesta di zona rossa. Hanno perso tempo tutti. Vorrei però dire che è il momento della collaborazione. Anche per questo non capisco i muri che vengono fatti alle richieste della Lombardia».
Le sembrano mosse dal revanscismo anti-lombardo di cui sopra?
«Penso che sia giusto porre il tema della riapertura, seppure in massima sicurezza e differenziata a seconda delle attività. Abbiamo già perso il 9% del Pil, non vorrei arrivare al 25. I muri non li capisco».
Si dice che non abbiano funzionato i medici del territorio, quelli che dovevano curare i malati a casa
«Questo ha un fondamento, ma io non c’ entro niente. Nella mia riforma i medici di famiglia avevano un ruolo centrale, sia nella prevenzione che nella convalescenza, e il loro lavoro era adeguatamente remunerato. Maroni, che è arrivato dopo di me, in nome della discontinuità, ha affidato medicina territoriale e ospedaliera alle Asst, istituendo un fondo unico, sui cui stanziamenti ovviamente le cliniche hanno fatto la parte del leone, e la medicina del territorio è stata mortificata».
Adesso i pm indagano sulle morti al Pio Albergo Trivulzio
«Io non governo dal 2012, so poco. Penso che la spropositata rilevanza mediatica che si dà alle indagini rientri nella logica politica di demolire il governo del centrodestra. Mi risulta che in tutte le Regioni siano nate indagine sui decessi nelle case di riposo. Perché si parla solo dell’ inchiesta milanese? E poi, in Spagna, Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, in percentuale sono morti più anziani ricoverati che da noi. Sono tutti criminali?».