Si infettano in un centro per migranti e poi vanno a lavorare nelle coop
Se un giovane pakistano non avesse lamentato un leggero malessere derivante dalla febbre, a quest’ora non si sarebbero scoperti 100 casi di positività al coronavirus all’interno di un ex hotel di Verona.
È una storia emblematica quella giunta nelle scorse ore dalla città veneta, una delle più colpite dall’emergenza Covid-19. Qui un ex albergo, il Monaco, è stato negli anni trasformato in un centro di accoglienza per richiedenti protezione internazionale. All’interno della struttura sono ospitati 140 migranti, molti dei quali nigeriani e pakistani.
Ben 100 di loro oggi risultano positivi al coronavirus. Per fortuna, sono tutti asintomatici e stanno bene, eccezion fatta per due giovani che hanno la febbre, tra cui il pakistano da cui che ha manifestato i primi sintomi e da cui poi è partita l’indagine epidemiologica. Per Verona però, questa situazione ha rischiato di trasformarsi in un grave pericolo: molte delle persone contagiate all’interno della struttura lavorano per alcune cooperative e volevo tornare operativi nonostante la loro positività.
Soltanto il posizionamento di alcuni uomini delle forze dell’ordine davanti l’ingresso dell’ex hotel, come raccontato da Libero, ha impedito loro di uscire e di contagiare altre persone andando a lavoro.
L’episodio dimostra quindi i pericoli che potrebbero derivare dalle strutture più vulnerabili: oltre ai disastri accaduti all’interno delle case di riposo, occorre quindi monitorare quanto succede nei centri di accoglienza. Qui potrebbe bastare un piccolo gruppo di asintomatici per scatenare un focolaio che, se non contenuto, rischierebbe ovviamente di far dilagare il coronavirus in un determinato territorio.
E si sa inoltre quanto sia difficile far rispettare, all’interno dei centri per migranti, le norme di distanziamento sociale. In alcune strutture si forme anche in stanze piccole, con almeno 5 o 10 letti all’interno. Nei giorni scorsi a Siculiana, nell’agrigentino, alcuni abitanti hanno notato un gruppo di migranti giocare tranquillamente a calcio dentro un ex hotel adibito a centro di accoglienza.
Ecco perché quindi la situazione all’interno di queste strutture andrebbe monitorata con molta più attenzione. Ma soprattutto, alla luce di questi fatti, ad oggi appaiono ancora meno comprensibili le proposte volte ad impiegare i migranti irregolari come manodopera nei campi. Pressioni in tal senso sono arrivate anche dal presidente della comunità di Sant’Egidio, l’ex ministro Andrea Riccardi, ma anche dallo stesso governo. Il ministro Teresa Bellanova, di Italia Viva, ha proposto una sanatoria dei 600.000 irregolari presenti in Italia per mandarli a lavorare nei campi.
Qui, per timore di contrarre il virus ma anche perché spesso impossibile raggiungere i luoghi di lavoro per via delle norme di contenimento, intere coltivazioni rischiano di andare al macero perché si trovano poche persone disposte a lavorare. Ma inviare gente che arriva da luoghi sensibili, dove potrebbero essere sorti casi di coronavirus e dove potrebbero esserci decine di asintomatici, come nel caso di Verona, sarebbe davvero una mossa saggia?
C’è chi sostiene, come lo stesso Riccardi, che regolarizzando i migranti si potrebbe controllare anche il loro stato di salute, evitare cioè che nel sommerso si diffondano casi di Covid-19 non scoperti. Ma in realtà, potrebbe essere vero il contrario: il rischio concreto è che i migranti si ammalino all’interno dei centri, per poi far diffondere il virus nei luoghi di lavoro.
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