Fake news sul coronavirus? Cominciamo con quelle di “esperti” e comitati scientifici
Roma, 16 apr – Dopo la prima dell’inchiesta sulle fake news e la disinformazione divulgate dal governo Conte e dalle istituzioni sul coronavirus, passiamo ad analizzare quanto affermato dai cosiddetti “esperti”, dal gennaio 2020 ad oggi. Per stessa ammissione di Massimo Galli, direttore responsabile del reparto malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, nessuno poteva e può definirsi esperto: “Ne sappiamo veramente molto ma molto poco (sul coronavirus) e forse molti di noi, cosiddetti esperti quasi reali e magari non tanto reali, ne abbiamo anche parlato qualche volta a sproposito. Qualcuno sicuramente lo ha fatto”.Video Player
Competenti allo sbaraglio
Non è stato soltanto il governo giallofucsia a confondere gli italiani con una comunicazione schizofrenica, contraddittoria e sconclusionata. Virologi ed esperti, prezzemolini nei talk televisivi e intervistati dai quotidiani a tutta pagina, hanno aumentato il caos e la frustrazione dei cittadini. Restrizioni della libertà personale e chiusure delle attività, decretati del governo Conte, sono stati validati perché “ce l’ha detto la scienza”. Quella stessa scienza ha cambiato opinione tempestivamente quando la realtà smentiva quanto aveva pontificato fino al giorno precedente. “Restate a casa” e “lavatevi le mani” sono state poi le uniche soluzioni fornite dai cosiddetti esperti, peraltro senza che abbiano fatto pubblica ammenda per le cialtronerie dichiarate dagli scranni televisivi. La solita spocchia degli incensati competenti ha prevalso sulla corretta informazione che il Paese necessitava in uno dei suoi momenti più difficili.
Alla confusione e alle misure tardive per il contenimento del Coronavirus, ha contribuito lo stesso Comitato tecnico-scientifico della Protezione civile nominato il 3 febbraio dal ministro della Salute Roberto Speranza. Quante volte durante la conferenza stampa quotidiana delle 18 abbiamo sentito affermare da Angelo Borrelli e soci che le mascherine non servivano? L’impreparazione del Comitato di fronte ad un virus sconosciuto, che per questo motivo suggeriva la massima prudenza, lo si è potuto constatare sia nei “Dieci comportamenti da seguire” (“contatta il numero 1500 se hai la febbre o tosse E sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni”) sia nei protocolli indirizzati agli ospedali (“caso sospetto” solo chi fosse stato in aree a rischio della Cina), cambiati solo in seguito allo scoppio dei focolai in Lombardia e Veneto ai primi di marzo.
Quando Ricciardi diceva: “Non fate i tamponi”
Sempre il Comitato aveva smentito l’utilità dei tamponi agli asintomatici, convinzione ribadita a mezzo stampa anche da Walter Ricciardi, membro italiano del board dell’Oms, il 27 febbraio. Il consigliere del ministero della Salute affermò che “chi ha dato l’indicazione di fare i tamponi anche alle persone senza sintomi, gli asintomatici, ha sbagliato”, ribadendo che la strategia della Regione Veneto “non è stata corretta perché ha derogato all’evidenza scientifica”, in quanto le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (test solo su soggetti sintomatici in presenza di due caratteristiche, il contatto con malati di Covid-19 accertati e la provenienza da zone di focolai), riprese dall’ordinanza del ministro della Salute del 21 febbraio, “non sono state applicate”. Ricciardi dichiarò anche se le linee guida fossero state applicate non avrebbero causato “confusione e allarme sociale”. Al momento, sembrerebbe però che la strategia di Luca Zaia dei tamponi a tappeto, anche agli asintomatici, stia dando una risposta decisamente più efficace nel contenimento del coronavirus (così come accade con successo in Germania e Corea del Sud spesso prese ad esempio): al 14 aprile, in Veneto sono stati fatti 208.878 tamponi (popolazione totale 4,9 milioni), mentre in Lombardia 214.870 (popolazione totale 10 milioni).
Probabilmente “l’alleanza stretta tra scienza e politica” in Italia, sbandierata come una strategia di successo da Walter Ricciardi, non è stata così perfetta e efficace nella gestione dell’emergenza coronavirus.Video Player
La prima scienziata, che in Italia ha denunciato la pericolosità del coronavirus e la problematicità degli asintomatici nel diffusione del contagio, è stata Ilaria Capua. Nel 2016, la virologa è stata costretta ad emigrare negli Stati Uniti, in seguito ad un articolo pubblicato da L’Espresso due anni prima, che ne ha distrutto la reputazione in Italia. L’inchiesta di Lirio Abbate accusava la Capua di corruzione, abuso d’ufficio e traffico illecito di virus. Nel luglio del 2016, la virologa è stata prosciolta dall’accusa di traffico illecito di virus, nell’inchiesta della procura di Verona, perché “il fatto non sussiste“. Ora la Capua è direttore dell’One Health Center of Excellence presso l’Università della Florida.Video Player
Le giravolte di Burioni
All’epoca dei primi avvertimenti di Ilaria Capua, i cosiddetti esperti della verità assoluta erano ancora alla fase “abbraccia un cinese”. Il 2 febbraio, poi ribadito il giorno successivo, Roberto Burioni affermava con determinata sicurezza che il coronavirus in Italia non stesse circolando e quindi il rischio di contrarre il virus fosse zero, grazie anche alle misure intraprese dal governo. Burioni si burlava pure di chi all’epoca indossava le mascherine, affermando che fosse più facile essere colpiti da un fulmine e che fosse impossibile “suicidarsi con il coronavirus”. La stessa teoria è stata poi ribadita dal virologo il 16 febbraio ospite da Fazio, quando denunciò l’emergenza razzismo contro i cinesi, rivendicando con orgoglio il fatto che la moglie e la figlia il giorno stesso avessero pranzato al ristorante cinese.
La posizione di Burioni cambia tempestivamente in seguito allo scoppio dei focolai in Lombardia e Veneto, dissociandosi furbescamente da sé stesso: “Noi pensavamo che qui il virus non ci fosse perché ci dicevano che il virus non c’era”. L’esperto, appollaiato come un vate ancora una volta sulla poltrona di Fabio Fazio ha pure cercato di giustificarsi con una metafora degna di un Mattia Santori qualsiasi: “Eravamo in presenza di un malato che non si misurava la febbre e ci diceva ‘sto bene’”. Come tutti gli altri esperti incoronati dalla televisione, anche Burioni è passato da “le mascherine non servono” a “le mascherine dovremo portarle tutti e a lungo”. Il virologo poi, esattamente il 12 aprile sulla tv pubblica, ha lanciato la sua nuova dottrina in merito alla sperimentazione di un vaccino: “Si prendono persone giovani, persone che non dovrebbero soffrire grande danno dall’infezione, si vaccinano e poi si prova a infettarle. Se questo venisse eticamente accettato noi potremmo ridurre quell’anno a pochi mesi”. Ovviamente, Roberto Burioni non rientra nello standard di “persona giovane”, ma potrebbe immolarsi per la scienza.Video Player
Gli errori grossolani della Gismondo
Antagonista di Burioni, ma protagonista dello stesso tipo di disinformazione che ha comportato la minimizzazione dell’emergenza coronavirus, è la direttrice del laboratorio di microbiologia dell’ospedale Sacco di Milano, Maria Rita Gismondo, che probabilmente è stata la fonte scientifica di riferimento dell’insensata campagna “Milano non si ferma” del sindaco Beppe Sala. Dopo i post pubblicati su Facebook, la signora “il coronavirus è come un’influenza” è diventata una delle principali voci dei mainstream media italiani, dove è arrivata pure ad affermare che il virus ha dato una “spinta” ai malati che sarebbero morti ugualmente e che un suo amico gioielliere gli aveva promesso “un ciondolo a forma di coronavirus, un virus molto elegante” per farne un ricordo visto che dopo poche settimane “non ne avremo più sentito parlare”. In perfetta linea con l’ideologia no border, la Gismondo è riuscita ad affermare che i virus non conoscono frontiere e che “non dovrebbero esistere per nessuno”. Maria Rita Gismondo si à lasciata sfuggire però una verità che molti cercavano di tenere nascosta: “A fine dicembre, inizio gennaio, abbiamo osservato delle polmoniti un po’ strane rispetto all’andamento precedente. Ma ovviamente, il coronavirus non era una realtà da attenzione, non avevamo nemmeno i test diagnostici e probabilmente qualche polmonite da coronavirus c’era già stata ma ci è sfuggita”.Video Player
Pregliasco: “Il virus non sta circolando”
Altro capolavoro mediatico è stata l’onnipresenza di Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli studi di Milano, direttore sanitario dell’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano e presidente dell’Anpas, nonché divoratore di involtini primavera in diretta televisiva. Pregliasco ha dichiarato che “i cittadini non devono avere paura di incontrare il coronavirus perché non sta circolando” (4 febbraio), teoria ribadita dieci giorni dopo quando additava come allarmiste le persone che portavano le mascherine in stazione Centrale di Milano, per poi affermare il 23 febbraio che “ce lo aspettavamo” perché “questa patologia è un po’ perfida” dopo lo scoppio dei primi focolai.Video Player
L’Istituto superiore di sanità e le indicazioni sbagliate
Come le altre starlette televisive, Fabrizio Pregliasco ha più volte ribadito l’inutilità delle mascherine. Non solo i cosiddetti esperti: anche Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità ha garantito che “l’uso delle mascherine in una persona sana non ha particolare utilità” in un video informativo pubblicato dalla stessa Iss, tesi ripetuta più volte durante la conferenza stampa quotidiana delle ore 18.Video Player
È lecito a questo punto chiedersi se i cosiddetti esperti e i tecnici siano stati imboccati dal governo colpevole di non essersi preparato per tempo all’emergenza coronavirus, perché l’Italia era completamente sprovvista di dispositivi di protezione, come si è poi scoperto. Sappiamo che solo il 2 marzo la Protezione Civile è stata autorizzata (Decreto Legge Gualtieri n.9 del 2 marzo 2020) ad acquistare dispositivi di protezione individuali ed altri dispositivi medicali; tra questi, anche le tristemente note mascherine destinate agli ospedali (gli stracci della polvere) che hanno ottenuto l’avallo dell’Istituto superiore di sanità.Video Player
Ci si chiede giustamente come faranno gli italiani a fidarsi ancora dei cosiddetti esperti e delle istituzioni che dovrebbero garantire la salute pubblica. Gli scienziati e i tecnici non dovrebbero mai prestarsi ai giochi della politica, ma chiudersi nei laboratori e nelle war room per cercare vere ed adeguate soluzioni alle emergenze sanitarie. Ma soprattutto la politica non deve delegare ai tecnici, ai competenti, la facoltà di decidere e governare anche nelle emergenze. Perché questa pandemia ha dimostrato tutti i limiti e le contraddizioni di competenti e presunti comitati scientifici.
Francesca Totolo