Coronavirus, agente scrive a Conte: “Avete pensato solo ai detenuti”
Il Coronavirus si è inevitabilmente diffuso anche all’interno delle strutture penitenziarie italiane, destando preoccupazioni e malumori. Se da una parte c’è stato un gran parlare circa le migliori misure da adottare per tutelare la salute dei detenuti (fra le proposte avanzate, anche la scarcerazione di chi si trova già in stato di semi-libertà o in possesso di permessi), poco si è discusso sulle precarie condizioni degli agenti di polizia penitenziaria, impegnati a presidiare i carceri ed a loro volta a rischio contagio.
Proprio per denunciare la scarsa attenzione mostrata nei confronti degli uomini che vestono la divisa, l’ispettore capo Gianluca Caruso, in servizio presso il carcere di Bollate (Milano), ha deciso di scrivere una lettera indirizzata al presidente del consiglio Giuseppe Conte.
Colpito dal Coronavirus, come molti altri suoi colleghi, Caruso è fortunatamente riuscito a riprendersi dalla malattia, ed ora combatte perché il governo tuteli anche la propria categoria. Ecco la ragione della missiva, inviata tramite pec non solo al premier Conte, ma anche al capo del dipartimento di amministrazione penitenziaria.
“Caro presidente, il diritto alla salute, principio fondamentale della nostra Costituzione, per me servitore dello Stato che fine ha fatto? Siamo i primi a tutelare l’incolumità dei detenuti, è un nostro dovere istituzionale, ma è altrettanto un dovere istituzionale tutelare noi, bistrattati e spesso dimenticati dalle istituzioni. Io sono guarito, ho fatto due tamponi con esito negativo e ora attendo il risultato del terzo, ma chiedo che tutti gli agenti di polizia penitenziaria, vengano sottoposti a tamponi periodici, a tutela della loro salute e di quella delle loro famiglie”, esordisce l’ispettore nella lettera, riportata da “Il Giorno”. Agente penitenziario scrive a Conte: “Avete pensato ai detenuti, ma ci siamo anche noi”Pubblica sul tuo sito
Quindi, il racconto dell’incubo vissuto dopo aver contratto il Covid-19. “Ho avuto i primi sintomi il 12 marzo scorso, febbre alta che sfiorava i 40, dolori atroci alle spalle, respiro affannoso e notti insonni. Ho chiamato l’infermeria dell’istituto chiedendo di essere visitato nella caserma dove sono alloggiato, la risposta è stata che il medico del carcere ha competenza sui detenuti e non sulla polizia”, racconta Caruso, che poi spiega come siano stati i suoi stessi compagni ad aiutarlo e a non lasciarlo da solo.
“Per fortuna un mio collega mi ha procurato del paracetamolo e me lo ha consegnato in camera. Poi ho cercato di contattare il servizio di guardia medica di Milano, senza alcuna risposta. Il mio medico di base sta a 850 km di distanza perché io sono residente in provincia di Benevento e mi ha detto di contattare i numeri verdi di Regione Lombardia”, continua il racconto. Dopo essere riuscito a resistere due giorni grazie al solo ausilio del paracetamolo, Caruso si decide a contattare il numero verde consigliato. Oltre ad avere ancora i sintomi, infatti, l’agente era venuto a sapere che anche altri colleghi avevano cominciato a stare male. “Il 15 marzo, finalmente sono venuti in camera per controllarmi, lo stesso il giorno dopo, mentre il 17 marzo invece insieme ad altri due colleghi ci hanno trasferito in un’ala della caserma adibita ad isolamento, ma in realtà non lo è. Sullo stesso piano, infatti, ci sono altri colleghi non malati che vi alloggiano. Finalmente ci fanno anche il tampone”.
L’esito, purtroppo, è positivo. L’ispettore Caruso ha dovuto trascorrere 14 giorni in isolamento. Riuscito a guarire, adesso pensa ai suoi colleghi ammalati, due dei quali attualmente in condizioni critiche. Le responsabilità, secondo l’agente, sono molto chiare. “Il problema è stata la mancanza di protocolli condivisi e limitazioni logistiche. Non è colpa della direzione del carcere, ma del Dipartimento che ha pensato solo ai detenuti, e così moltissimi poliziotti penitenziari oggi sono positivi al virus”, denuncia il poliziotto.
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