Filippo Facci, Conte e il coronavirus: in 11 punti, perché il governo ha fallito su tutto
In una pagina tutti gli errori del governo non ci stanno. Questo è già grave, anche se a essere ancora più gravoso è che avete tutto il tempo per leggerli.
1) L’ Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato l’ allarme coronavirus prima dell’ Epifania. Il primo comitato esecutivo nella sede della Protezione civile non ha fatto il minimo accenno alle condizioni degli ospedali, ai posti letto per il ricovero, alla capienza per i reparti di rianimazione, alla ricerca di tamponi e mascherine. Il 17 febbraio, quando il ministero della Salute ha compreso l’ urgenza di procurarsi ventilatori polmonari, ancora non succedeva assolutamente nulla.
2) Dopo i casi nel lodigiano lombardo e nella veneta Vo’, il governo ha pensato che bastasse fermare gli accessi in quei paesi. Si è perso tempo preziosissimo. Nonostante le avvertenze dei virologi, l’ atteggiamento «non esageriamo» è stato condiviso da molti, ma soprattutto dalla campagna «milanononsiferma» cavalcata dal sindaco di Milano e dal segretario del Pd, poi risultato infetto, ma in seconda battuta anche dalla Confcommercio e da Matteo Salvini.
3) A inizio 2020, la diffusione del coronavirus è sostanzialmente sfuggita alle autorità sanitarie, nonostante i moniti del caso cinese. Molti casi di polmonite non sono stati riconosciuti come coronavirus, e questo ha favorito la diffusione negli ospedali e tra il personale sanitario, peraltro malamente rifornito di strumenti di protezione con conseguenze a tutti note: il primo caso accertato di coronavirus risale al 21 febbraio all’ ospedale di Codogno, dove il paziente è entrato in contatto con medici e infermieri che non indossavano protezioni. All’ estero, nel criticarci, indicano anzitutto questo: che il primo vero diffusore dell’ epidemia sono stati i nostri ospedali. Stefania Bonaldi, sindaca di Crema, ha raccontato che il 23 febbraio (a emergenza iniziata) chiese alle autorità sanitarie se doveva cancellare la sfilata di Carnevale con migliaia di persone: le risposero di farla pure. Lei non obbedì e la cancellò lo stesso.
Nembro e Alzano – 4) Il 7 marzo poliziotti e carabinieri erano pronti a sigillare i paesi di Nembro e Alzano Lombardo nel bergamasco, in Val Seriana, ma il via libera alla «zona rossa» fu bloccato. Il 4 marzo l’ assessore alla Sanità della Lombardia e il presidente dell’ Istituto di sanità avevano sollecitato la «zona rossa» rivolgendosi al governo, cui toccava decidere: ma da Roma decisero di non farla, punto. Il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, sulla mancata zona rossa, ha detto il 28 marzo: «Mi risulta che la decisione sia stata presa sulla base di quelle che erano le esigenze organizzative di controlli e omogeneizzazione delle misure a livello nazionale e tra le regioni interessate». Chiamasi supercazzola, e chiamasi errore storico. In quella zona si è poi creato il peggior focolaio di coronavirus in Italia e forse nel mondo. I primi due pazienti di Alzano, tra i primi individuati in Italia, sono stati trasferiti dall’ ospedale di Alzano a quello di Bergamo, e il primo non è stato neanche sanificato, tutto è proceduto normalmente, mentre gli amministratori cercavano di ridimensionare ogni timore e il presidente della sezione locale di Confindustria diffondeva un video intitolato «Bergamo is running/Bergamo non si ferma». Nota: una regione non può fare una zona rossa da sola: ci vogliono i militari.
5) Il governo, con un ritardo che il virologo Pregliasco ha calcolato in 12 giorni, ha cominciato a imporre restrizioni solo in piccole aree, via via espandendole sino al Paese intero, andando ogni volta all’ inseguimento del virus e mai precedendolo. Questa progressione lenta ha favorito l’ epidemia, perché i «preannunci» hanno favorito esodi da Nord a Sud e sparpagliato il virus in regioni dove non c’ era. Dopo aver bloccato i voli dalla Cina (dimenticando l’ esistenza dei voli con scalo) il governo con grande ritardo (tra il 9 e l’ 11 marzo) ha dichiarato l’ Italia zona protetta e poi rossa, con fughe di notizie che hanno favorito altri esodi.
6) Il governo, per le mascherine e altri materiali, ha organizzato delle antidiluviane «gare consip» al ribasso con perdita inusitata di tempo, aste andate deserte o con stracci per pulire inviati al posto delle mascherine. Il 24 marzo, Conte e il commissario Arcuri – in diretta tv – avevano promesso le prime forniture in 96 ore, ma dopo 7 giorni non si era ancora visto nulla. Un decreto del 17 marzo ha autorizzato l’ importazione materiale senza certificazione Ce, col risultato che è risultata robaccia inutilizzabile. L’ Istituto superiore di sanità si attarda nel certificare le mascherine autoprodotte dopo riconversione industriale: per decreto dovrebbe rispondere entro 3 giorni, ma a Roma è la palude.
7) Solo nei primi giorni di marzo si è scoperta l’ esistenza dell’ italiana Siare Engineering, che produce ventilatori polmonari necessari per le terapie intensive: cioè un mese dopo la proclamazione dello stato di emergenza e il mandato alla Protezione Civile. Individuata il 3 marzo come «soggetto attuatore» (Consip avvertì la Protezione civile, che allertò Palazzo Chigi) dopo quasi un mese nessuno aveva ancora telefonato all’ azienda: tanto che Siare Engineering intanto aveva raccolto varie commesse per l’ estero.
Pronto soccorso – 8) La Lombardia ha fronteggiato una situazione da apocalisse, ha fatto miracoli e si è mossa sempre in anticipo (celebre il caso del governatore Fontana con la mascherina, dapprima deriso) e ha triplicato i posti in terapia intensiva, e costruito un ospedale in tempi da fantascienza con risorse e uomini propri: cosa che i nemici politici non gli hanno perdonato. Ma i suoi errori, inevitabili o meno, la Lombardia li ha fatti. In pratica ha ospedalizzato tutti senza neppure considerare la medicina del territorio: i medici di base sono stati ridotti a fare telefonate a centinaia di pazienti e a operare una sorta di controllo sociale, cercando di scongiurare che andassero a intasare i pronti soccorso; questi medici non hanno avuto strumenti, linee guida, protocolli, antivirali o altro da prescrivere, soprattutto dispositivi di protezione individuale. I pochi che si sono mossi l’ hanno fatto senza protezioni anche minime, senza neanche camici usa e getta e occhiali protettivi. Tra i risultati, c’ è che molta gente è morta in casa. Il Veneto (pure colpito) non ha mai avuto una situazione paragonabile alla Lombardia, ma ha scelto di fare più test e di tracciare i potenzialmente positivi puntando anche sui medici di famiglia dotati strumenti di protezione e così ha ridotto il carico degli ospedali.
Solo di recente l’ esperienza veneta è stata presa in considerazione. Infelice, infine, è stata anche la scelta della Lombardia di trasferire i malati da Codogno ad altri ospedali, contagiandoli.
La classifica – 9) Gli approcci diversi da regione a regione (ai tamponi, per esempio, o alle morti domiciliari) hanno favorito una raccolta dati inaffidabile e disomogenea, creando l’ impressione che i dati veri fossero altri: ma, soprattutto, rendendo difficile ogni modello di analisi statistica. Come per l’ Auditel, si è discusso dello zero virgola come se fosse una cosa seria: la comunità scientifica ci ha capito poco anche per questo. La Protezione Civile ha fatto gravi errori di comunicazione. Molta gente morta in casa, o comunque prima di essere testata, non è rientrata nei dati ufficiali. Ora è più chiaro che il numero ufficiale dei contagiati è poco indicativo (sono da dieci a quindici volte di più) e rende difficile calcolare i tassi di mortalità, dati per (almeno) dieci volte più alti di quelli che in realtà sono. Così la gente è distratta solo dal numero dei morti e dei contagiati e non guarda all’ unico dato che certifica la tenuta del sistema sanitario: la disponibilità di posti letto, soprattutto in terapia intensiva.
10) Delirio di burocrazia. I bambini non possono passeggiare, anzi sì, anzi, solo al supermercato, i cani invece sempre, forse ai bambini conviene abbaiare: è solo uno dei tanti balletti di incompetenza e scaricabarile andati in scena nel giorno in cui all’ Inps andava tutto in tilt, e si rendevano pubblici i dati sensibili degli utenti. Dovevano essere i primi soldi tra i tanti annunciati da questo governo. E i grillini dovevano essere quelli del web della fibra per tutti. Nessuno si è dimesso o scusato. Sappiate che l’ Inps per il suo sito spende 94 milioni di euro annui, spesa aumentata del 50 per cento rispetto al 2017. In totale il governo ha prodotto 51 provvedimenti e 300 pagine di decreti, ordinanze e circolari, escluse quelle della protezione civile e le contro-ordinanze regionali. Tutto per dare sempre, di ogni cosa, la colpa di qualcun altro.
11) La Germania ha stanziato 123 miliardi, il 3,6 per cento del Pil, seguono Francia e Regno Unito, poi la Spagna con l’ 1,5 per cento del Pil. Ultima: l’ Italia con 20 miliardi di euro, l’ 1,1 per cento del Pil. Forse da noi il virus non ha particolarmente colpito.