Mes, le condizioni che incatenano l’Italia
Sotto il profilo politico, per quanto poco congeniale all’idea dell’Italia che spingeva per gli eurobond, l’accordo franco-tedesco per presentare all’Eurogruppo una manovra comune anti-crisi era forse il risultato più prevedibile delle recenti negoziazioni.
Proponendo il ricorso al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) con condizionalità leggere Parigi e Berlino hanno trovato la quadra per il complesso di proposte sull’asse Mes-Commissione-Banca europea degli investimenti. Tre istituzioni a guida tedesca, giusto per ribadire chi è depositario della centralità politica nell’Unione, sono nell’ottica dell’accordo depositarie della centralità nella risposta alla crisi.
Berlino porta avanti da giorni una guerra di nervi. Obiettivo: fugare l’ipotesi eurobond e difendere il ricorso agli strumenti già esistenti nell’Unione. L’uscita pubblica del direttore generale del Mes Klaus Regling, forse anche le manovre di disturbo di Commerzbank, si inseriscono in questo flusso. Ma Berlino sa anche che il 2011 e il 2012 sono passati da tempo e che, se Mes sarà, non si potrà evitare di fare concessioni ai Paesi del Sud Europa.
“Propongo di usare gli strumenti esistenti rapidamente, non ci sarà alcuna delle condizioni insensate come in passato. Niente Troika nei paesi a dire ai governi ciò che devono fare”, ha dichiarato Olof Scholz, ministro delle Finanze di Angela Merkel. Ma di che condizionalità si tratterà, anche se in forma alleggerità? La parola è sempre e solo una: austerità. Nel contesto di prestiti che per ogni Paese possono arrivare, nella proposta, al 2% del Pil nazionale (36 miliardi di euro per Roma) la condizionalità più semplice e applicabile potrebbe essere l’ipotesi ventilata dal super-falco della Commissione Valdis Dombrovskis: impegnare tutti i Paesi che quest’anno sforeranno il Patto di Stabilità su deficit e debito pubblico a un congruo rientro nei ranghi.
Scelta problematica se la crisi dovesse proseguire. Idea confermata da indiscrezioni raccolte dall’Agi, secondo cui nel piano franco-tedesco “per accedere alla linea di credito gli Stati membri dovrebbero firmare un memorandum di intesa impegnandosi a destinare le risorse all’emergenza sanitaria e economica e a rispettare il Patto di Stabilità e Crescita”. Torna il nodo della vaghezza: un investimento produttivo conta come misura anti-crisi? Un rafforzamento di misure di welfare già esistenti? Un bail-out di un’azienda in crisi? Il diavolo è nei dettagli e prima di firmare accordi-capestro sul Mes ogni Paese dovrebbe valutare il peso di ogni singola parola.
Anche un granitico europeista come Roberto Gualtieri, titolare del Mef, ha segnalato che il Mes “per l’Italia è uno strumento inadatto a gestire questa crisi nella forma attuale”, avvicinandosi dunque alla linea del premier Giuseppe Conte. Nella maggioranza la componente pentastellata fa muro, certa di un eventuale appoggio dell’opposizione in Parlamento sul rifiuto del Mes, e giorno dopo giorno anche il Pd sembra gradualmente convergere. La comprensione che la Francia stesse giocando su due tavoli è cresciuta nelle istituzioni mano a mano che assieme alla comune posizione in Europa crescevano i sospetti di un crescente protagonismo finanziario di Parigi in Italia. Roma deve esser pronta a far quadrato attorno alle sue posizioni, certa che un Mes con anche un gradiente minimo di condizionalità rappresenterebbe un salto nel buio che è preferibile evitare. E, nel caso di cause di forza maggiore, un rischio da anestetizzare nei limiti del possibile.
Il problema è che, in punta di diritto, la ragione ce l’avrebbe il fronte più radicale: ora come ora il ricorso al Mes è possibile solo nel contesto delle condizionalità rigorose richieste dall’Olanda.
“Insomma, si può pure parlare di condizionalità “sbiadite” perché c’è libertà di parola“, ha fatto notare Alessandro Mangia, docente di diritto all’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Ma però chi va alla ricerca di una soluzione ad un problema insolubile – che è poi l’assenza di un prestatore di ultima istanza nei paesi aderenti all’euro – dovrebbe chiedersi se la “discrezionalità sbiadita” di cui va parlando sia compatibile con la “rigorosa condizionalità” che è imposta non dal Trattato Mes, non da qualche Regolamento Ue”, e connessa all’architettura Ue dall’Articolo 136 sul Trattato del Funzionamento dell’Unione Europea.
Risulta quindi possibile che una volta attivate le clausole Mes, anche con la panacea politica della ridotta condizionalità, un giudice europeo possa agevolmente far pesare sul Paese ricorrente alle clausole Mes la lettera dei trattati. Non c’è via di scampo. “L’ importante è farci entrare nel Meccanismo. Dopo che ci sei entrato non puoi più uscire. Una volta che sei dentro non ci vuole niente a far valere la clausola della “rigorosa condizionalità”, ha dichiarato Mangia in una recente intervista a La Verità.
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