Nazionalizzare Autostrade prima dell’ennesima svendita all’estero
Roma, 5 apr – Allianz al 51%, Atlantia al 49%. Questa l’ipotesi, circolata ieri nel tardo pomeriggio, in merito al futuro assetto societario di Autostrade per l’Italia. Il colosso tedesco delle assicurazioni, stando a quanto riportato dal quotidiano La Stampa, sarebbe ad un passo dall’ottenere il controllo della società. Un’indiscrezione non confermata, che anzi il governo smentisce. Ma che lascia più di un dubbio sulla vertenza in corso tra governo e famiglia Benetton.
Autostrade tedesche: il governo smentisce
La ricostruzione dei fatti della testata torinese parla di un accordo, ormai raggiunto, con il quale Allianz (già presente nel capitale, tramite Appia Inmvestments, con il 6,94%) salirebbe alla maggioranza assoluta di Autostrade per l’Italia, liquidando il fondo Silk Roads (oggi al 5%) e lasciando il 49% alla holding di famiglia Benetton. La “quadra” sarebbe stata trovata nei giorni scorsi ed il consiglio di amministrazione di Atlantia dovrebbe esprimersi in materia non più tardi di martedì prossimo. Già nei giorni scorsi, quindi da ben prima che queste indiscrezioni circolassero, il titolo era letteralmente volato in borsa facendo segnare +24% dai minimi toccati lunedì 30 marzo.
Sempre secondo quanto riferito da La Stampa, la bozza di accordo avrebbe non solo il via libera ma sarebbe addirittura caldeggiata dal governo, pronto a far decadere qualsiasi ipotesi di revoca della concessione e ad eliminare ogni rischio di penale in capo ai Benetton. In cambio, otterrebbe 4 miliardi di investimenti ed il congelamento per 2 o 3 anni dei pedaggi.
La ricostruzione dei fatti viene negata categoricamente dai diretti interessati. A partire dal ministro delle Infrastrutture Paola de Micheli, che in una nota “smentisce quanto riportato da lastampa.it, riguardo all’accordo per il riassetto di Autostrade. Le notizie riportate sono, infatti, prive di fondamento”. Stesse parole usate da Atlantia, la quale “intende chiarire che quanto riportato è totalmente privo di fondamento”.
Che fine ha fatto la nazionalizzazione?
Al netto dei veri o presunti balletti attorno alla compagine di Autostrade, ciò che rileva è che – a oltre un anno e mezzo dal crollo del Ponte Morandi – la tanto auspicata (persino da forze di maggioranza, M5S in testa) nazionalizzazione non sembra aver mai aver veramente nemmeno preso il via. Eppure, dopo la tragedia che fra le altre cose ha scoperchiato un vaso di Pandora del redditizio (sulle nostre spalle) business, gli elementi c’erano – e ci sono – tutti.
Non è tanto una questione di assetto societario, per cui basterebbe far uscire i Benetton dall’azionariato per soddisfare qualche prurito a metà strada tra la malcelata invidia e la voglia di vendetta. Sono due atteggiamenti con cui non si fa politica industriale, la quale ha invece bisogno di riconoscere l’esistenza di un monopolio pubblico ed agire di conseguenza con la nazionalizzazione dello stesso. O meglio: con la sua ri-nazionalizzazione, dato che le autostrade sono state costruite e gestite per decenni dallo Stato, prima di un’improvvida ed insensata privatizzazione fatta nella speranza, in ossequio al credo neoliberista, di creare un mercato laddove un mercato non può (né mai potrà) esistere.
La necessità di procedere in tal senso diventa, oggi, ancor più urgente di fronte alle pur smentite voci di un interesse straniero. Al contrario rischiamo di trovarci con le autostrade non solo ancora in mano privata, ma addirittura controllate da uno (o più) soggetti esteri. L’ennesimo trasferimento oltreconfine di un patrimonio nazionale. L’ennesimo banchetto sulle spoglie del nostro sistema economico.
Filippo Burla