La saliva “infetta” dei guariti che può far (ri)esplodere il virus
Una ricerca potrebbe cambiare il paradigma delle cure. La saliva, anche dei pazienti negativizzati, potrebbe contagiare.
Il coronavirus si diffonde in genere attraverso quelle ormai note goccioline emesse da una persona infetta che tossisce o starnutisce. Un nuovo studio appena pubblicato sugli “Annals od Internal Medicine” e condotto presso l’ospedale di Pechino Ditan Hospital, Capital Medical University, però lancia un allarme.
Il report suggerisce che il virus potrebbe restare, almeno in alcuni casi, nella saliva e nelle feci di pazienti guariti. Anche quando il tampone per la diagnosi risulta negativo. In questo momento con due tamponi negativi a distanza di 24 ore e in assenza di sintomi il paziente è considerato guarito sia dal punto di vista clinico che virologico. Ma questi risultati destano preoccupazioni perché pazienti con tamponi negativi potrebbero non essere del tutto privi del virus e dunque potrebbe essere necessario campionare anche i fluidi biologici. Lo scrive il Corriere della Sera.
Gli esperti hanno analizzato campioni di saliva e feci di 133 pazienti ricoverati nell’ospedale cinese tra il 20 gennaio e il 27 febbraio alla ricerca della presenza del virus, anche dopo che i pazienti sono risultati negativi al tampone diagnostico, quindi, di fronte a una guarigione virologica. Per 22 dei pazienti coinvolti l’esame di saliva e feci è risultato positivo (virus presente) rispettivamente anche dopo 39 e 13 giorni dal tampone negativo. Un certo spargimento virale anche dopo il recupero sarebbe normale.
“Solo perché la saliva e le feci di un paziente contengano ancora il virus vivo non significa che le particelle virali possano infettare anche gli altri perché molto probabilmente la carica virale è molto bassa”, spiega il virologo Fabrizio Pregliasco. Gli stessi autori, del resto, ammettono i limiti dello studio: i campioni biologici sono stati prelevati in modo non sequenziale, cioè l’operazione non è stata simultanea. Inoltre, non è noto se la presenza del virus nella saliva e nelle feci rappresenti ancora un rischio infettivo dal momento che questo aspetto non è stato indagato.
Per scoprire questo bisognerà ampliare lo studio. Pregliasco ricorda che questa ricerca ha il pregio di prendere in considerazione della negativizzazione dei fluidi biologici, problematica che non è nuova ed esiste in altre malattie infettive, ma è chiaro che bisogna indagare ancora molto soprattutto sulla carica virale. Diversi studi avevano evidenziato la presenza del virus nelle feci delle persone Covid-19 positive, ma è opinione comune degli esperti che la trasmissione fecale sia molto, molto limitata.
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