Coronavirus, in Cina ritorna la vendita di cani e pipistrelli nei mercati all’aperto
Roma, 1 apr – Mentre per Europa e Stati Uniti la strada da percorrere contro la pandemia di coronavirus appare ancora tutta in salita, la Cina, dopo più di due mesi di isolamento inizia a respirare e lentamente ad “aprire”. Gradualmente vengono meno le limitazioni e un po’ ovunque si assiste al ritorno della normalità – e con esso, pare si stia ritornando ai famigerati wet market, i mercati all’aperto in cui viene venduta qualsiasi tipo di specie animale a fini alimentari, nella più totale inosservanza delle norme igieniche di base.
Lo rivela il Daily Mail, i cui corrispondenti hanno denunciato il ritorno di cani, gatti, scorpioni e pipistrelli nei mercati di Guilin, località nel sud ovest del Paese, fino a Dongguan, più a sud; rimangono le stesse precarie – quando non inesistenti – condizioni igieniche, le stesse barbare usanze di tenere animali vivi in anguste gabbie arrugginite, scuoiare e cucinare vivi animali domestici e selvatici come pangolini, serpenti e pipistrelli. Il tutto sul pavimento coperto di sangue, sporcizia e resti di animali. Animali che vengono poi mangiati o utilizzati parzialmente per la medicina tradizionale cinese.
Queste pratiche, diventate illegali durante il picco della pandemia, sarebbero ritornate prepotentemente in auge con l’allentarsi delle misure restrittive, come se nulla fosse successo. Insomma, l’epidemia Covid-19 parrebbe non avere insegnato nulla ai cinesi per quanto riguarda igiene ed abitudini alimentari. In un altro mercato a Dongguan, nel sud della Cina, un altro corrispondente del giornale britannico, ha riportato la descrizione delle medesime scene, attestando la vendita di pipistrelli. Un’unico aspetto, scrive il reporter, sembra essere cambiato nei wet market cinesi: i venditori si starebbero mostrando maggiormente ostili verso i “curiosi”e non consentono che vengano scattate fotografie della macabra merce esposta. Per il resto, scrive, “tutti qui pensano che l’epidemia sia finita e non ci sia più niente da temere. Il coronavirus è diventato un problema che riguarda l’estero e non più la Cina”.
Secondo i dati raccolti dall’Undc (Ufficio delle Nazioni unite per droghe e crimini), in data attuale sarebbero 7mila le specie minacciate dal bracconaggio e dal commercio illegale che finiscono poi nei wet market di tutto il mondo; attività che generano un business dall’indotto compreso tra i 7 e i 23 miliardi di dollari l’anno.
Cristina Gauri
[la fotografia a corredo dell’articolo è puramente indicativa e risale al 2019]