“Malati in crisi d’ossigeno: dopo pochi passi ansimano come se corressero”
“Entrano in pronto soccorso con l’ossigeno a 90, basso da far spavento. Hanno fatto quattro passi ma ansimano come se avessero corso”. Inizia così il racconto choc di un infermiere dell’ospedale Sacco di Milano, polo sanitario di riferimento nazionale per le malattie infettive adibito, ad oggi, a struttura Covid-19.
Le sale operatorie sono ferme e tutti gli altri reparti sono in stand by mentre aumentano gli accessi dei pazienti infetti: “Se il coronavirus entrasse profondo su Milano, sarebbe come un Boeing-747 che si schianta davanti al pronto soccorso”.
È trascorso più di un mese ormai da quando anche la città meneghina è stata risucchiata nel vortice dei contagi. “Servirà ancora una settimana – spiega l’infermiere al Corriere della Sera -per sapere che quel crash non ci sarà”. L’età media degli ammalati è notevolmente cambiata rispetto agli esordi dell’epidemia; ora si registrano giovani con età inferiore ai 30 anni nella curva delle polmoniti critiche. “Qualche settimana fa molti arrivavano con sintomi lievi, o medi, comunque senza “impegno respiratorio”. Oggi sono un po’ meno, ma l’ età media s’ è abbassata, intorno ai 55/60 anni, anche ragazzi di 30 anni. E quasi tutti hanno bisogno immediato di ossigeno. Febbre che non scende sotto i 38. Lastre bruttissime. In pronto soccorso vedi ovunque persone con cannule, mascherine, caschi”.
Difficile se non impossibile capire l’avanzamento della malattia per chi è confinato in regime di isolamento domiciliare, motivo per cui il pronto soccorso è intasato di persone in evidente sofferenza respiratoria. “Tutto il sistema sanitario sta dicendo ai malati di restare a casa isolati il più possibile. A volte va bene, ma le persone non si rendono conto di quanto avanza la malattia. – continua il racconto l’infermiere -Entrano in pronto soccorso con l’ ossigeno nel sangue a 90, basso da far spavento. Quaranta atti respiratori al minuto, oltre il doppio del normale: hanno fatto quattro passi e ansimano come se avessero corso. Compensano fino alla fine con i polmoni quasi compromessi. Su 20/25 pazienti che entrano in un turno di 7 ore, almeno 3 o 4, ancor prima di fare il tampone, hanno già bisogno del casco, massimo livello di ossigeno prima dell’ intubazione”.
Mentre s’impenna la curva dei contagi diminuisce la disponibiltà di ossigeno nell’impianto, una criticità già denunciata dall’ospedale di Bergamo: “In pronto soccorso “reggiamo” 8-9 caschi, più le mascherine. – spiega – Hanno creato due aree d’ emergenza, anche in astanteria. Ad ogni bocchettone d’ ossigeno è attaccato qualcuno. Abbiamo anche i meccanismi per sdoppiare i flussi e assistere due pazienti. Ma la quantità totale d’ ossigeno dell’ impianto resta quella. Per ora stiamo reggendo”.
Il Sacco è attrezzato per le emergenze sanitarie di bioterrorismo e i protocolli attivati in epoca coronavirus sono gli stessi dell’Ebola. “Abbiamo sale visita specifiche, docce alla candeggina per l’ antrace. – racconta l’infermiera – Con quella mentalità è stato trasformato l’ intero ospedale. La nostra forza è stata la formazione obbligatoria, ogni infermiere può essere reperibile per la task force Ebola. Sai come vestirsi. Come comportarti. Che precauzioni prendere. Sono io che scelgo le protezioni, a seconda se sto al triage o in emergenza. Affrontiamo il Covid con i protocolli Ebola, un virus con una mortalità devastante. Tutto questo per ora ci sta salvando la pelle». (È la differenza chiave rispetto a molti altri ospedali lombardi, che per carenze nella formazione, nell’ organizzazione d’ emergenza e nelle scorte di protezioni, investiti dall’ epidemia, sono diventati centri moltiplicatori del contagio”.
Dopo l’esplosione del coronavirus, la struttura milanese ha dovuto adeguarsi alla nuova richiesta di ricoveri contingentando percorsi ad hoc per i pazienti con positività accertata o necessitanti di intubazione. “Entriamo in una maxi-emergenza perenne, che dura ancora. Viene rifatto il pronto soccorso. Si trovano aree d’ emergenza per gestire i pazienti gravi nell’ immediato. Vengono studiati percorsi diversi, linee gialle e verdi, posti “puliti” e posti “sporchi”. E poi aree di isolamento, di filtro, di sanificazione, di vestizione. Ascensori solo per i “positivi”. Prima i prelievi di sangue viaggiavano con la posta pneumatica, oggi vengono sigillati in triplice involucro e portati di persona da un operatore, per evitare ogni contaminazione. All’accettazione, tutti i pazienti ricevono guanti, mascherina e camice monouso”.
Nonostante si stia profilando una situazione poco incoraggiante, resta un filo di speranza a cui aggrapparsi: “Ho visto i bambini col coronavirus. – conclude l’infermiere -Lo passano come un raffreddore. Almeno loro saranno risparmiati da questa tragedia”
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