Distributori di benzina chiusi. Ecco quando scatta la serrata
Anche fare benzina diventerà più difficile al tempo del coronavirus. Gli impianti di rifornimento carburanti, infatti, cominceranno a chiudere.
Da mercoledì notte quelli della rete autostradale, compresi raccordi e tangenziali. E, via via, tutti gli altri anche lungo la viabilità ordinaria. Lo annunciano Faib-Fegica-Figisc/Anisa in una nota. “Noi, da soli, non siamo più nelle condizioni di assicurare né il necessario livello di sicurezza sanitaria, né la sostenibilità economica del servizio”, spiegano i gestori delle pompe di benzina.
“Nessuno può pensare di continuare a trattarci da schiavi, né da martiri”, affermano. “Siamo persone con famiglie da proteggere. Cittadini che sanno di dover assolvere ad una responsabilità di cui non si vogliono spogliare, ma a cui non può essere scaricato addosso l’intero carico che altri soggetti, con ben altri mezzi, disponibilità economiche e rendite, si ostinano a ignorare”.
La categoria è composta da oltre 100mila persone in tutta Italia che hanno continuato a fare il loro lavoro nonostante si sia registrata una contrazione di circa l’85%. “Correremo il rischio dell’impopolarità e dei facili strali lanciati da comode poltrone, ma davvero non abbiamo né voglia, né la forza per spiegare o convincere delle solari ragioni che ci sostengono”.
Intanto, si annuncia una stretta durissima sugli spostamenti ingiustificati e le irregolarità emerse nel nuovo modello di autocertificazione da ieri diffuso dal ministero dell’Interno a tutte le forze dell’ordine. L’obiettivo, anche in questo caso, è arginare la diffusione del coronavirus. Già, perché al ministero guidato da Luciana Lamorgese, hanno valutato poco efficace la violazione dell’articolo 650 del codice penale, prevista fino ad ora. Il rischio di pagare poco più di 200 euro era ben conosciuto da tutti quelli che volevano eludere o aggirare i divieti. Visti i ripetuti episodi di assembramento, di partenze ingiustificate, di violazioni di ogni genere, il numero di denunce presentato da polizia di Stato, arma dei carabinieri, guardia di finanza e polizie locali, solo nella giornata di ieri, sono state oltre 10mila. E dall’11 marzo il totale è di oltre 90mila.
Ora si cambia pagina. L’obiettivo è passare intanto a una sanzione amministrativa: immediata, priva delle lungaggini della procedura penale, impugnabile ma con meno margini rispetto a quella originaria. La linea del ministro Lamorgese è durissima. L’ipotesi è di prevedere 4mila euro di sanzione massima, la minima di 500 euro. Più il fermo amministrativo del mezzo, norma tuttavia in forse.
La nuova sanzione deve ottenere intanto l’accordo tra l’Interno e il dicastero della Giustizia, guidato da Alfonso Bonafede. Certo, passare dal reato alla sanzione amministrativa significa alleggerire il carico di denunce ora affluite alle procure. Alcuni non hanno nascosto però le loro perplessità proprio sull’efficacia della norma e soprattutto sulla possibilità di produrre una condanna.
Nella discussione sulla nuova disposizione, tuttavia, potrebbe emergere anche una linea più soft, ma non meno priva di effetto deterrente. Il rischio con una multa così elevata, osservano alcuni addetti ai lavori, è di scatenare ricorsi amministrativi a non finire. Una somma più contenuta, tipo 500 euro ridotti a 200 se pagati entro cinque giorni, resta una minaccia consistente, ma meno soggetta a ricorsi. Al governo spetta ora l’ultima parola.
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