Bergamo, il timore dei medici: “Siamo ancora contagiosi dopo tre settimane”

“Ho ripetuto il test il 20, dopo oltre 7 giorni dalla fine dei sintomi, ed era ancora positivo. Questo fa pensare che si rimane contagiosi a lungo anche dopo la guarigione clinica completa”.

Questo lo scenario che si è verificato per un’operatrice del reparto di Medicina interna dell’ospedale Papa Giovanni XXII di Bergamo dopo essere risultata positiva al Coronavirus il 9 marzo. E la situazione riguarderebbe anche altri medici: “Sono molti i colleghi nella mia condizione”. Eppure loro sono super controllati: “Pensi al cittadino che sta a casa e una volta passate febbre e tosse va a incontrare amici e parenti pur essendo ancora potenzialmente effettivo”.

La dottoressa ha spiegato a Il Fatto Quotidiano di aver lavorato fino al primo marzo, avendo contatti con pazienti poi risultati infettati; quella notte avrebbe iniziato a manifestare i primi sintomi tra febbre alta, tosse e dispnea che nei giorni successivi sono peggiorati. Non è stato necessario ricorrere al ricovero, ma ha deciso comunque di restare a casa: “Poi il 9 marzo ho fatto il primo tampone, che è risultato positivo”. Le linee guida dell’Istituto superiore di sanità stabiliscono che un soggetto positivo al virus Sars-Cov2 faccia un nuovo test non prima di 7 giorni dalla fine dei sintomi: se questo risulta negativo “si fa un’altra analisi dopo 24 ore e se anche questa è negativa si può tornare al lavoro”. Nella giornata di venerdì, a distanza di 7 giorni in cui è stata asintomatica (ovvero quando si può parlare di guarigione clinica) è risultata ancora positiva: “E quindi ancora contagiosa. La stessa cosa è accaduta al mio compagno, anche lui medico. Questa cosa è capitata a molti colleghi, anche in altri reparti”.

La questione tamponi

Claudio Farina ha confermato: “Sì, si sono verificati dei casi di positività che eccede i 14 giorni, in questo momento non so quantificarglieli. Non sono molti, non è la norma, ma ci sono”. Il direttore del Dipartimento di microbiologia del Papa Giovanni XXIII ha dunque ribadito che “se una persona è tornata asintomatica il rischio che diffonda il virus è basso. Anche se non vuol dire che non ci sia”.

Proprio sulla questione degli asintomatici gli esperti si sono divisi, dopo l’annuncio di Luca Zaia di voler andare alla ricerca di pazienti positivi al Coronavirus ma inconsapevoli di esserlo, ponendo una particolare attenzione nei confronti di medici, infermieri e sanitari. Nel frattempo si innalza il coro per chiedere un nuovo metodo di rilevazione dei contagi: il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri sostiene che “sarebbe utile un’estensione a coloro che hanno sintomi che non siano necessariamente febbre e difficoltà respiratorie”.

il giornale.it

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