Trasformare 25 miliardi in 350: tutti i conti sballati di Gualtieri
Roma, 16 mar – A quanto ammonta l’impegno del governo per contrastare gli effetti dell’epidemia di coronavirus? A 25, anzi a 350 miliardi: questa l’iperbolica cifra annunciata urbi et orbi dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri nell’annunciare il varo del già ribattezzato “Cura Italia”. Un maxi decreto nel quale entra tutto e il contrario di tutto, mischiando misure necessarie ad altre decisamente tardive. Restando in ogni caso ben lontani dagli altisonanti numeri messa in piazza dal titolare di via XX Settembre.
La manovra vale 25 miliardi…
Partiamo dai dati reali. Camera e Senato, lo scorso 11 marzo, hanno autorizzato un innalzamento del deficit per complessivi 25 miliardi. Questo l’ammontare della “manovrina” varata dall’esecutivo, che ha potuto attingere a tale somma per offrire sostegni alla sanità, alle famiglie, alle imprese.
Si va così dal bonus per i lavoratori dipendenti (100 euro esentasse, ma solo per chi ha lavorato il mese di marzo) alla mancetta – del tutto insufficiente – di 600 euro per gli autonomi, passando per l’estensione della Cig in deroga e le assunzioni di medici, infermieri e operatori negli ospedali, arrivando alla sospensione di tasse e imposte e alle garanzie – tra Cassa Depositi e Prestiti e altri – per i prestiti alle imprese.
…ma Gualtieri se ne inventa 350
Proprio su quest’ultimo punto si innesta l’ottimismo di Gualtieri, convinto che grazie ad effetti leva si potranno produrre “flussi” per almeno 350 miliardi di euro, “equivalenti in proporzione rispetto al Pil ai 550 miliardi della Germania”, ha spiegato, riferendosi al piano lanciato nei giorni scorsi da Berlino e che ruota attorno alla Kfw, la Cdp tedesca.
“Flussi”, in realtà, è una parola che non significa assolutamente nulla, ma è stata volutamente utilizzata per magnificare le sorti della “manovrina”: saremmo al contrario di fronte ad un moltiplicatore pari a 14 che nemmno il più ottimista (e alticcio) dei keynesiani può attendersi. Non si tratta d’altronde di risorse fresche, ma solo di un’aspettativa che Gualtieri è convinto possa tradursi in realtà. Lo stesso Gualtieri, per inciso, che non più tardi di ieri sera auspicava che le aziende in grado di farlo potessero comunque pagare le imposte dovute e non tutti gli autonomi attingere ai miseri 600 euro di compensazione previsti.
C’è poi un problema di natura strettamente (macro)economica. Anzitutto perché non tutti quei 25 miliardi andranno a sostenere la circolazione del credito. In secondo luogo, di fronte ad una recessione che si annuncia severissima e i cui effetti saranno destinati a durare da qui a qualche anno, quale impresa – ammesso che sopravviva a queste settimane (o mesi) di chiusure forzate – potrà pensare di ricorrere ad un prestito, qualsiasi siano la sua forma e le sue condizione? Lo farebbe, in condizioni normali, se si aspettase di procedere con qualche investimento nella prospettiva magari di un ampliamento del proprio mercato. Mercato – specialmente quello interno – le cui già note difficoltà non troveranno però alcun serio sostegno tra i fallimenti che si annunciano da qui a pochi mesi e il mare di disoccupati che già stano ingrossando le fila a partire dal settore del turismo. Gualtieri finge di dimenticarlo, ma è banale logica: un’azienda fallita non investe ed un disoccupato non spende.
Filippo Burla