Coronavirus, allarme dei ginecologici: “Siamo senza protezioni, sale parto a rischio”
Roma, 16 mar – E’ un vero e proprio allarme quello lanciato da ginecologi e ostetrici: “Il personale non è rifornito del materiale di protezione individuale necessario, e in alcuni punti nascita è ancora segnalata una carenza insostenibile“. La Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo) e l’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi) si rivolgono così alle autorità, perché il personale sanitario non è soltanto messo a durissima prova da turni massacranti e comprensibili difficoltà dettata dalla gestione dell’emergenza, corre anche il rischio di essere infettato dal virus a causa dello scarso materiale a disposizione per proteggersi.
Sale parto a rischio: appello alle istituzioni
Quindi sono in serio pericolo pure le sale parto, con “il personale ostetrico” che “sta conducendo una estenuante battaglia per proteggere le donne in gravidanza e i loro bambini”, si legge nella nota congiunta di Sigo e Aogoi. Il problema, rivelano le due associazioni, è soprattutto dettato “dall’insufficienza di materiale che ha comportato una esposizione al virus che ha pesantemente colpito ginecologi, ostetriche e personale infermieristico”. Non basta quindi spendere doverose parole per lodare lo strenuo lavoro dei professionisti sanitari, perché come fanno notare Sigo e Agoi “in un momento di emergenza e forte incertezza scientifica per l’area ostetrico-ginecologica e neonatale, una delle poche certezze è l’importanza dei dispositivi di protezione individuale”. Quindi, proprio per questo, “tutto il mondo ginecologico e ostetrico rivolge un accorato appello alle istituzioni affinché si faccia tutto quanto possibile a difesa delle sale parto e di chi presta oggi la propria coraggiosa e delicatissima azione”.
Un assordante silenzio
Ma ginecologi e ostetrici non sono i soli a denunciare la mancanza di materiale protettivo a loro disposizione. Lo fa anche Silvestro Scotti, segretario generale della Federazione italiana dei medici di famiglia (Fimmg), che non esita a definire un “assordante silenzio” quello “delle istituzioni aziendali, regionali e governative sulla richiesta dei medici di medicina generale di essere dotati di dispositivi di protezione individuale”. Bando alla facile retorica quindi, “ci chiamano eroi – dice Scotti – ma ci voltano le spalle. Intanto molti di noi si ammalano e, purtroppo, muoiono come i medici di famiglia Roberto Stella e Giuseppe Borghi. Ci aiuteremo da soli, ma abbiamo bisogno anche dei cittadini”.
Alessandro Della Guglia