Gian Carlo Blangiardo, l’intervista al demografo che demolisce Tito Boeri: la sua menzogna più grande
Gian Carlo Blangiardo, in pole per la presidenza dell’ Istat, è stato presentato come l’ anti-Boeri per aver ricordato che i lavoratori immigrati di oggi sono gli immigrati pensionati di domani. Nel 2018 l’ Inps incassa i loro contributi, dal 2030 comincerà a versare loro degli assegni, che spesso sarà necessario integrare ricorrendo alla fiscalità generale. Ma Blangiardo, demografo della Università Bicocca, sull’ immigrazione ha un giudizio più sfumato.
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Può essere anche un’ opportunità, dice: «È l’ introduzione di una componente giovane in un Paese sempre più vecchio. Per trasformarla in beneficio, però, l’ immigrazione va governata e non subìta. E attenzione ai grandi numeri: siamo un Paese di 60 milioni di abitanti; i flussi, per essere assorbiti, devono essere proporzionati».
Qual è la soglia da non superare?
«Le soglie non esistono in assoluto: sono relative al contesto a cui si fa riferimento. In Italia oggi ci sono 6 milioni di stranieri. Non pochissimi: più della popolazione della Danimarca o della Norvegia. Tuttavia, se bene inseriti nel tessuto socio-economico, sono ancora sostenibili. I fattori-chiave dell’ integrazione sono il mercato del lavoro, la politica della casa, la capacità dei nuovi arrivati di entrare in relazione con gli altri (penso alla disponibilità a imparare la lingua) Naturalmente, lo ripeto, i numeri contano: è evidente, per esempio, che più aumenta il numero di stranieri, più aumentano, in proporzione, i criminali»
Tra gli ultimi dati sul trend demografico del nostro Paese c’ è qualche novità, magari qualche inversione di tendenza?
«Speravo in un arresto della drammatica evoluzione delle nascite. Non è stato così. Ormai da tempo, ogni anno stabiliamo il record della più bassa natalità. Il saldo naturale morti-nati va sempre più allargandosi: ora siamo a 191mila. Un altro dato che mi preoccupa è l’ altalena della mortalità: c’ è stato un picco di morti nel 2015, una diminuzione nel 2016, quindi nel 2017 siamo tornati ai valori del 2015. Questa altalena rispetto a un tema delicato come la sopravvivenza degli anziani più fragili va seguita con attenzione».
Quali sono le cause?
«Credo si possa parlare da un lato di una debolezza del sistema sanitario nazionale, dall’ altro di una difficoltà nell’ accesso a cure e prodotti farmaceutici, per una certa fascia di anziani diventati troppo cari».
Quanto è cresciuto, e quanto è preoccupante, il fenomeno dell’ emigrazione?
«È in aumento. Oggi il saldo negativo tra entrate e uscite di cittadini italiani è di 84 mila unità. È vero che, all’ interno di quel numero, ci sono alcuni che erano diventati italiani da poco: per intenderci, l’ argentino con nonno italiano, che chiede la cittadinanza, la ottiene, e poi va a vivere in Spagna. Ma forte è comunque la componente, mi passi il termine, di italiani doc. E sono italiani giovani, con un buon livello di formazione: soggetti su cui l’ Italia ha investito e che non è stata capace di valorizzare, regalandoli alle multinazionali che operano in Germania, Inghilterra, Usa, perfino Cina. Ecco, se vogliamo tornare a crescere non possiamo continuare a perdere così le nostre risorse migliori».
Immigrazione, emigrazione, morti, nati. I trend sono uniformi in tutta Italia o ci sono differenze regionali?
«Un tempo avevamo il Sud giovane e prolifico e il Nord più “moderno”. Ora non è più così. La Sardegna, per dire, ha un livello di fecondità incredibilmente basso, mentre la Provincia di Bolzano ha la fecondità più alta d’ Italia. I comportamenti si sono uniformati».
Come si spiega il crollo della fecondità tra i popoli latini, dal nostro Meridione al Portogallo alla Spagna?
«Aggiungerei la Grecia, per restare ai Paesi bagnati dal Mediterraneo. Non è più una questione di cultura o di religione.
Non si fanno figli per un insieme di concause che portano non tanto alla rinuncia, ma al rinvio: la coppia si forma a 30 anni; fa un figlio, se va bene, negli anni successivi; il secondo figlio lo rinvia, fino a rinunciarci Questo si spiega con le difficoltà economiche (i figli costano), i condizionamenti nella mobilità (il tema della conciliazione maternità-lavoro), i costi della cura (non sempre ci sono i nonni a portata di mano).
E poi questi sacrifici non sono compensati da gratificazioni da parte della società alla quale la coppia fornisce “capitale umano”. Ora, questi trend possono essere in parte contrastati da politiche fiscali, come in Francia, o da un welfare generoso, come in Svezia e Norvegia. Chi invece punta sui bonus, come l’ Italia, non ha prospettive».
Come sarà l’ Italia nel 2030?
«Saremo sempre 60 milioni, ma saremo più vecchi. Gli ultra 65 enni, oggi 13 milioni, saranno 20 milioni. I problemi per il sistema pensionistico sono evidenti. Per prevenirli bisognerebbe agire su leve come la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la lotta alla disoccupazione. E poi c’ è la variabile immigrazione, da gestire. Governare i prossimi 15 anni non sarà semplice, richiede molto buon senso. E anche la disponibilità, da parte della stessa popolazione, ad adattarsi ai nuovi scenari, per esempio accettando di andare in pensione più tardi».