E se fosse la Germania la culla del coronavirus in Europa?
Per i media stranieri non c’è ombra di dubbio: l’Italia è la responsabile principale dell’epidemia del nuovo coronavirus Covid-19 in mezzo mondo, proprio a cominciare dall’Europa. I casi riscontrati in Austria, Croazia, Grecia, Svizzera e poi ancora in Danimarca, Estonia, Lituania, Paesi Bassi sino ad arrivare a quelli in Nigeria, India e Messico, sarebbero tutti legati in qualche modo al nostro Paese, o per colpa di turisti italiani o per stranieri che hanno soggiornato per qualche tempo da noi.
Il “Bel Paese” sarebbe quindi una sorta di fucina di untori per l’intero globo, almeno secondo una certa stampa estera e anche per qualche avventato – e forse ideologizzato – intellettuale o giornalista di casa nostra, che spesso e volentieri sembra dimenticare l’origine cinese di questa infezione così come ci si dimentica dell’atteggiamento minimizzante e oltremodo rassicurante del governo all’esplodere dell’epidemia in Cina, quando venivano bloccati i voli diretti ma non quelli facenti scalo, mentre altrove, come ad esempio negli Stati Uniti, si imponeva immediatamente la quarantena per chiunque arrivasse da quel Paese .
Ma è davvero così? Siamo davvero noi italiani i primi ad aver diffuso il virus in Europa e poi in buona parte del mondo? Ancora prima che ci si affannasse nella ricerca del famoso “paziente 0”, ovvero il primo contagiato sul territorio nazionale, poco meno di dieci giorni fa, c’era però chi stava studiando l’arrivo e la diffusione di Covid-19 grazie alla mappatura del suo genoma, e i risultati sono a dir poco sorprendenti.
Cominciamo quindi la nostra disamina da un articolo apparso sul New England Journal of Medicine il 30 gennaio scorso. Nella ricerca scientifica viene descritto quanto capitato in Germania, a Monaco di Baviera, pochi giorni prima, intorno al 24 gennaio, quando un uomo d’affari di 33 anni ha cominciato ad accusare malori, tosse e febbre alta, ma poi si è quasi subito sentito meglio tornando così a lavoro il giorno 27. L’articolo scientifico prosegue notando che il primo caso tedesco, prima dell’insorgere dei sintomi, ha partecipato a diverse riunioni con una partner cinese della sua compagnia vicino a Monaco il 20 e 21 gennaio. La donna, originaria di Shangai, ha visitato la Germania tra il 19 ed il 22 senza aver alcun tipo di sintomo, palesatosi solamente una volta ritornata in Cina, dove è stata trovata positiva al test per il Covid-19 il giorno 26. Il 28 gennaio altri tre impiegati della ditta tedesca sono risultati positivi per il virus e di questi uno ha avuto contatto diretto con il “paziente 2”, il manager tedesco, gli altri due con il “paziente 1”, la donna cinese.
Lo studio scientifico, oltre a certificare come la malattia sia sbarcata in Europa passando dalla Germania, che insieme alla Francia ha visto i primissimi casi di Covid-19 certificati, illustra anche un altro fattore molto importante per la nostra narrazione, ovvero la possibilità di contagio da parte di soggetti asintomatici.
Basta questo per dire che sia stata la Germania a essere il focolaio principale per l’epidemia? No, ma in questo caso ci viene in soccorso proprio la scienza. L’averne mappato la sequenza genetica, infatti, ci ha permesso di ricostruire “l’albero genealogico” del virus e di individuare quindi i ceppi originari da cui si sono separati i ceppi locali, e nel grafico c’è una sorpresa: il virus italiano, indicato come CDG1/2020, sembra discendere, così come altri ceppi tra cui quello svizzero, finlandese, scozzese, brasiliano e messicano, proprio da quello tedesco originatosi nella Baviera, indicato come BavPat1/2020, o comunque avere un “parente comune”, ragionevolmente derivante dalla cinese sbarcata a Monaco.
Possiamo quindi ipotizzare, con una notevole probabilità di certezza, che l’infezione che sta costringendo migliaia di persone in casa e che ha costretto alla chiusura delle scuole – proprio oggi prolungata almeno sino al 15 marzo – si sia diffusa proprio dalla Germania e da quel contatto con la manager cinese. Le tempistiche del resto parlano chiaro e sollevano più di un sospetto anche perché, come la stessa televisione di Stato tedesca Deutsche Welle ha riportato il 20 febbraio scorso, i casi di “influenza” in Germania sono raddoppiati, passando dai 40mila di inizio stagione a 80mila, in appena due settimane. Facendo un po’ di conti, e coi tempi di incubazione di Covid-19 alla mano (dati per 14 giorni), risaliamo circa all’inizio di febbraio, ovvero in un periodo stranamente concomitante col primo caso tedesco accertato e oggetto di studio da parte dei ricercatori.
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