Coronavirus, parla un italiano tornato dalla Cina: “Nessun controllo sanitario per me”
Roma, 24 feb – Si è arrivati a quota quattro morti e in Italia abbiamo il triste record di Paese europeo con più infettati da coronavirus. Tuttavia le informazioni su quale ente contattare, come agire se si ritiene di essere stati contagiati e quant’altro sono molto confusionarie e poco veicolate dagli stessi mezzi stampa italiani. Oggi raccogliamo la testimonianza di un italiano che, di ritorno dalla Cina lo scorso mese, con le sue parole mette in evidenza alcune macroscopiche lacune nella gestione dell’emergenza coronavirus in Italia.
La situazione in Cina rispetto a quella italiana
“Ho lavorato in Cina fino al 22 gennaio, il 23 era il mio primo giorno di ferie per il capodanno cinese e sono volato in Vietnam per le vacanze” racconta Alberto T. “In quei giorni si sapeva del virus ad Wuhan e nel Hubei ma il problema è diventato noto e tangibile in tutta l’Asia nei giorni successivi. Il 29 gennaio, invece di rientrare in Cina come previsto, ho preso un volo da Hanoi via Dubai per Milano Malpensa”. Alberto racconta di aver lasciato la Cina prima che nella regione dove c’è la sua azienda fosse investita massicciamente dall’epidemia di coronavirus .”Non ho vissuto di persona le misure più stringenti. Intorno al 20 gennaio qualcuno portava la maschera in ufficio, data dall’azienda, ma nessun obbligo ancora: tanti ristoranti erano già chiusi, ma nulla a che vedere coi blocchi interi di città nel Hubei”. “Ad oggi in ogni città esistono blocchi di interi quartieri, temperature misurate ovunque: stazioni, aeroporti, condomini, uffici (che hanno riaperto) ecc” racconta Alberto che ha ancora contatti con la Cina.
“In Italia rischio altissimo”
“L’unico modo per arginare l’epidemia è il blocco preventivo obbligatorio anche dell’intera popolazione e delle relative attività. Ieri in Italia 3 persone morivano, i casi aumentavano a dismisura ma discoteche aperte, il carnevale procedeva normalmente, Genoa Lazio è stata disputata e al sud le piazze sono piene di gente come se nulla fosse, nel silenzio del governo“. Poi la preoccupazione: “Spero di sbagliarmi, ma il rischio è altissimo. L’Italia è un paese di dimensioni minuscole rispetto alla Cina, e col periodo di incubazione del virus non vorrei che tra 14/20 giorni centinaia di persone anche al centro sud rimpiangessero di non aver rinunciato a un giro in piazza”.
Nessun controllo sanitario
Il particolare che per certo desta più ansia, è che Alberto sostiene di non aver affrontato alcun controllo al suo ritorno in Italia dalla Cina, con ogni probabilità perché non è tornato con un volo diretto: “A Milano il personale aeroportuale indossava la mascherina ma nulla di più. Io la indossavo per scelta mia, ma tanti passeggeri occidentali e quasi tutti i mediorientali ne erano sprovvisti”. Al suo ritorno, sebbene fosse stata già dichiarata l’emergenza sanitaria nazionale per il coronavirus, Alberto non ha avuto alcun contatto ufficiale da parte delle forze dell’ordine o dei presidi sanitari: “Non una chiamata, un’email. Sindaco, protezione civile, servizio sanitario… nulla. Il consolato italiano in Cina ha mandato 2 email dopo le lamentale della comunità italiana residente in Cina data la sua latitanza e incapacità di fornire informazioni e assistenza per tempo”.
La quarantena autoimposta
Così Alberto ha provveduto autonomamente a isolarsi per evitare il contagio da coronavirus: “Mi sono autoimposto una quarantena di oltre 20 giorni. Poi vaccino anti influenzale ed esami del sangue. Ma se fossi stato infetto e non mi fossi auto isolato potenzialmente avrei potuto infettare mezza Europa”. “Le autorità italiane semplicemente non si sono palesate e ancora non si stanno comportando da autorità” continua ancora Alberto “Né mentre mi trovavo in Asia né al mio ritorno in Italia. Dubito che il sindaco del mio paese sia a conoscenza di alcuno dei miei spostamenti. Dopotutto ripeto: da oltre un mese di coronavirus noto al mondo intero non ho ricevuto altro che 2 email di rito dal consolato italiano in Cina: lavatevi le mani, vi siamo vicini, numero del call center, abbiamo rimpatriato quelli di Wuhan …”. Insomma, davvero allarmante quanto riportato dal nostro connazionale. Una testimonianza che getta molte ombre sulla gestione dell’emergenza coronavirus in Italia o quantomeno pone interrogativi sul ritardo nella gestione emergenziale propriamente detta da parte delle autorità, forse influenzate dalla minimizzazione del fenomeno coronavirus che ha caratterizzato la narrazione del governo italiano.
Ilaria Paoletti