Quelle mosse di Benedetto XVI che hanno “salvato” la Chiesa
Quando Joseph Ratzinger dice la sua, lo fa con piena coscienza di causa. Ribadire questo assunto, che è scontato, sta diventando necessario. Certa narrativa, specie dalla pubblicazione di “Dal Profondo del Nostro Cuore” in poi, ha iniziato a sostenere una tesi che suona più o meno così: Benedetto XVI è la vittima di una curva di tifosi che usa strumentalizzare le posizioni dell’emerito in funzione anti-Bergoglio.
Per quanto queste considerazioni trovino uno facile sponda sull’esistenza, che è tangibile, di un “fronte ratzingeriano”, vale la pena sottolineare come ogni intervento pubblico firmato da Joseph Ratzinger, anche in questi sette anni e mezzo dalla rinuncia, non possa che essere attribuito a Joseph Ratzinger stesso. È molto difficile che un teologo di quella caratura si faccia “manipolare”, come qualcuno degli ultras progressisti vuole far credere.
Il cardinal Robert Sarah, nel momento in cui si è dovuto confrontare con le critiche seguite al libro sopracitato – quello che prende una forte posizione contro la messa in discussione del celibato sacerdotale – è stato in qualche modo costretto a pubblicare le “prove” della collaborazione con Benedetto XVI. È una dimostrazione indiretta di quanto siano decisi certi attacchi. Fa specie il mutamento della narrativa: una volta Joseph Ratzinger era definito il “papa solo”. Adesso, per via di interventi considerati scomodi, è divenuto un ex pontefice, per qualcuno soltanto un “vescovo emerito”, accerchiato da frange conservatrici. Delle due, insomma, l’una. Ratzinger è solo o no? A conti fatti, sembrerebbe proprio di no. E vedremo perché. Sul Venerdì di Repubblica don Filippo Di Giacomo ha evidenziato la sussistenza di un sospetto. Quello secondo cui nel “cerchio” di Joseph Ratzinger abiterebbe “chi” ama “organizzare cose che poi non riesce a governare”. Benedetto XVI, insomma, non sarebbe il regista delle “rotture del silenzio”, ma un uomo simbolo buono per iniziative costruite magari per opporsi al Papa regnante. Le stesse che potrebbero essere studiate a tavolino dall’ “entourage” di Benedetto XVI. E per questo Ratzinger andrebbe “salvato” dai ratzingeriani.
I fatti, stando a quanto abbiamo appreso nel corso di questi anni, raccontano una storia diversa. L’entourage di Ratzinger si è spesso adoperato affinché gli incendi, più che appiccati, venissero spenti. Il fatto che monsignor Georg Gaenswein, ora congedato, non abbia mai alimentato la narrativa della contrapposizione, ma abbia sempre parlato di “continuità” tra Francesco e Benedetto, è lì a testimoniarlo. Si pensi proprio a “Dal Profondo del Nostro Cuore”. Il segretario particolare dell’emerito ha annunciato in modo pubblico la richiesta di rimozione della firma dal testo scritto a due mani. Poi, secondo quanto trapelato sul blog di Sandro Magister, Ratzinger ha telefonato a Sarah, confermando la collaborazione libraria, con tanto di firma, e smentendo, forse, la volontà espressa dal suo segretario. L’entourage – si deduce facilmente – non può intervenire con facilità sulle decisioni prese da un ex pontefice. E lo stesso discorso può valere per i tanti commentatori che avranno sì tenuto in considerazione le riflessioni rese note dall’emerito dopo le sue “dimissioni”, ma che di certo non possono aver scritto di loro pugno né il commento alla collana teologica su Jorge Mario Bergoglio – quello che ha portato in qualche modo alle dimissioni di mons. Dario Edoardo Viganò dalla Segreteria per la Comunicazione, la cosiddetta “lettera tagliata” – , né “Dal Profondo del Nostro Cuore” , né la missiva inoltrata per le esequie del cardinale Meisner – quella in cui Ratzinger parla della Chiesa alla stregua di una barca che sembra affondare – e così via.
La verità, con ogni probabilità, l’ha raccontata Massimo Franco su Il Corriere della Sera, quando ha scritto che: “Quando si scriverà la storia di questi anni segreti nel monastero Mater Ecclesiae, non si potranno trascurare le visite riservatissime di cardinali e vescovi che hanno bussato a quella porta cercando rassicurazioni, ed esprimendo le loro critiche e le loro perplessità verso il pontificato attuale”. A noi risulta che la fila fuori dal Mater Ecclesiae persista. E che anche in relazione a “Querida Amazonìa”, più di qualche alto ecclesiastico abbia provato a rivolgersi a Benedetto XVI affinché l’emerito evitasse fughe in avanti da parte progressista. Ratzinger e il suo “entourage” – esiste più di una certezza in merito – hanno assunto in questi sette anni e mezzo il ruolo di pompieri e non certo quello d’incendiari. Ogni volta che Benedetto XVI ha chiuso la porta alle rimostranze dei conservatori, dunque, ha evitato che il clima si inasprisse ancora di più. E a chiudere ogni spiraglio, spesso e volentieri, è stato il tanto chiacchierato “staff”.
Papa Francesco e Joseph Ratzinger sono in continuità nella ricerca della salvaguardia dell’unica ecclesiastica. E questo, che è un dato assodato, non risulta essere troppo accettato da ambo le curve. Ratzinger, ma anche i ratzingeriani, operano da sempre affinché la Chiesa non subisca uno “scisma”. Un’altra prova – se fosse necessaria – può essere dedotta dallo scambio epistolare intercorso qualche anno fa tra il cardinal Walter Brandmueller e il teologo tedesco: “Con il Papa emerito ho cercato di creare una situazione nella quale io fossi per i mass media assolutamente inaccessibile e nella quale fosse pienamente chiaro che c’è solo un Papa”, ha scritto Benedetto XVI. Il pericolo “scisma”, del resto, proviene oggi dagli ambienti progressisti che vorrebbero prendere “decisioni vincolanti” a prescindere da Roma per mezzo di un “concilio interno”. Chi si oppone all’ipotesi che i tedeschi divengano una Chiesa nazionale a se stante? Qualche alto ecclesiastico del Vaticano, con i ratzingeriani in testa.
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