Inchiesta sui fondi russi: è Meranda la gola profonda
Adesso ha un nome l’autore della registrazione che ha dato il via all’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega.
E il disvelamento della identità finora sconosciuta finisce con l’aprire nuovi e più rilevanti interrogativi. Perché salta fuori che a intercettare tutto di nascosto dagli altri commensali dell’Hotel Metropol sarebbe stato il più misterioso dei tre italiani presenti all’incontro: Gianluca Meranda, avvocato d’affari, già massone, poi espulso dalla Serenissima Gran Loggia d’Italia, che a suo dire a Mosca rappresentava gli interessi di una non meglio identificata «banca d’affari anglo-tedesca». E quindi diventa inevitabile chiedersi non solo cosa ci facesse l’ex massone a Mosca con Gianluca Savoini, l’ambasciatore di Matteo Salvini in terra di Russia, ma anche perché abbia registrato l’incontro, e soprattutto come e perché dalle sue mani il file sia approdato prima nelle mani di almeno un paio di giornalisti. Interrogativi davanti ai quali ogni dietrologia è possibile.
Il nome di Meranda salta fuori ieri, e non per caso. Sulla squadretta di pm milanesi che indaga per corruzione internazionale in relazione all’incontro del Metropol e alla megafornitura di prodotti petroliferi discussa in quell’occasione si era abbattuta poco prima una rogna consistente.
La Cassazione, chiamata a esaminare il ricorso di Savoini contro il sequestro dei suoi telefoni e del computer, aveva respinto il ricorso, confermando l’esistenza del fumus della corruzione ma mettendo in chiaro un principio: per poter essere utilizzata in un processo, la registrazione dell’incontro deve avere una paternità, non può essere una intercettazione illecita. E gli unici a poter registrare lecitamente l’incontro erano (anche all’insaputa l’uno dell’altro) i sei presenti: da parte italiana Savoini, Meranda, l’ex bancario Francesco Vannucci; da parte russa Ilya Yakunin, Andrey Kharchenko e un terzo signore non identificato. Dare un nome all’autore per la Procura era dunque indispensabile per impedire che l’inchiesta – che ha come vero obiettivo l’ipotesi di finanziamenti in nero alla Lega – perdesse un pezzo importante. Ed ecco che il nome salta fuori, rivelato ieri anche se con qualche cautela dall’agenzia Ansa. A registrare tutto sarebbe stato Meranda.
L’inchiesta è salva, ma Meranda si ritrova indicato bruscamente come gola profonda dell’indagine. Perché (a meno che il file non gli sia stato rubato) è stato lui a farlo avere al giornalista dell’Espresso Stefano Vergini, che – come ricostruisce la sentenza della Cassazione – ne ascolta alcuni passaggi per confezionare l’articolo e poi lo consegna ai pm; e copia del file arriva anche al sito americano Buzzfeed che per primo lo mette in rete. Di fatto, è Meranda ad innescare tutto il meccanismo che oggi porta la Procura milanese a dare la caccia ai fondi occulti della Lega. E sarebbe interessante capire se abbia fatto tutto di testa sua.