Foibe ed esodo italiano: quello che c’è da sapere sulla pulizia etnica di Tito
“Con il termine foiba, che deriva dal latino fovea, vengono chiamati gli inghiottitoi naturali tipici delle aree carsiche; tali abissi si prestano assai bene a far scomparire in maniera rapida oggetti di dimensioni anche notevoli”.
Per le generazioni di italiani cresciuti tra gli anni Cinquanta e Novanta, le foibe hanno significato solo questo: caratteristiche di paesaggi lontani. Si è scoperto poi, grazie alla tenacia di storici, ricercatori e alle mutate condizioni geopolitiche che, quegli abissi, erano qualcosa di ben più inquietante. Una tomba per migliaia di persone. Le testimonianze degli esuli trapiantati a Roma: “Confinati in un mondo tutto nostro”Pubblica sul tuo sito
Le popolazioni dell’entroterra istriano già le usavano per disfarsi di carcasse di animali e scarti agricoli. Chissà chi fu il primo a cui venne l’agghiacciante idea di gettarci i nostri connazionali, legati uno all’altro con il fil di ferro. Solo i primi venivano “graziati” con una pistolettata alla nuca, perché sprofondando trascinassero il resto del gruppo. E così, per giorni, i pochi sopravvissuti restavano ad agonizzare tra i cadaveri dei loro compagni di sventura. I primi infoibamenti risalgono ai giorni successivi all’8 settembre del 1943. “All’indomani dell’armistizio di Cassibile – spiega il professor Giuseppe Parlato, docente di Storia contemporanea e presidente della Fondazione Ugo Spirito – il Paese era allo sbando e nelle terre dell’Adriatico orientale si venne a creare un vuoto di potere, così i partigiani jugoslavi di Tito ne approfittarono per fare giustizia sommaria contro gli italiani”. Rastrellamenti e violenze durarono un mese. “Non solo tra coloro che avevano rappresentato il fascismo, per essere perseguitati bastava solo essere italiani. Poi, non ci furono soltanto gli italiani nelle foibe, ma molti sloveni e croati non comunisti”, chiarisce il professore.
Ad ottobre dello stesso anno, i tedeschi ripresero il controllo di quei territori con l’operazione Nubifragio. Fu allora che vennero “scoperte” le foibe e iniziarono i primi recuperi. “Tra questi – ricorda lo storico – ci fu quello di Norma Cossetto, ritrovata ancora integra nella foiba di villa Surani”. Circostanza raccontata anche da Giuseppe Comand, che aiutò i vigili del fuoco di Pola, guidati dal maresciallo Arnaldo Harzarich, ad effettuare i recuperi: “Con il raggio della pila (Harzarich, ndr) illuminò il corpo di una ragazza seminuda, che sembrava seduta sul fondo della foiba con la schiena poggiata alla parete e la testa rivolta in alto, come se sorridesse. Si trattava di Norma Cossetto, la studentessa istriana torturata e violentata dai partigiani, prima di venire infoibata”. Le persecuzioni anti-italiane riprenderanno con la caduta di Berlino e il disfacimento dell’esercito tedesco, quindi in tempo di pace. “Le vittime sono state 12-13mila, non tutti – specifica l’esperto – sono stati infoibati, perché le foibe sono una caratteristica del suolo istriano, nella Dalmazia venivano affogati con una pietra al collo. Molti morirono in seguito a fucilazioni o di stenti nei campi di concentramento sloveni e croati”.
“L’episodio più emblematico – ricorda il professore – è la strage di Vergarolla, a Pola, nell’estate 1946”. La carneficina si consuma su una spiaggia gremita di famiglie, arrivate dalla città per assistere a una gara di nuoto. Un ammasso di vecchie mine di profondità, accatastate sulla spiaggia e bonificate mesi prima, esplode inspiegabilmente. Il bilancio è di più di cento vittime, molte delle quali rimaste senza nome. Le responsabilità di quel massacro non furono mai chiarite, ma la certezza è che dietro alla detonazione ci sia stata la mano di un esperto. L’ipotesi più probabile, è che anche Vergarolla sia stata un tragico avvertimento agli italiani perché se ne andassero dall’Istria: e infatti così avvenne. L’orrore e la paura portarono allo spopolamento di intere città e il 90 per cento dei giuliano-dalmati finirono per abbandonare le proprie case, iniziando una vita da profughi. Solo per citare qualche esempio, da Fiume se ne andarono 54mila su 60mila abitanti, a Rovigno 8mila su 10mila e a Dignano 6mila su 7mila. Gli italiani in fuga da Pola
Indro Montanelli li definì “italiani due volte” e, complessivamente, furono 350mila. Cosa trovarono al di qua dell’Adriatico? Una società ostile, che li tacciava di essere “fascisti”. “Dalle colonne de L’Unità, il Partito comunista italiano, che all’epoca governava con i socialisti e i democristiani, iniziò una campagna denigratoria contro gli esuli”. Li definivano “relitti repubblichini”, “carnefici che si atteggiano a vittime” e “indesiderabili” che scappano “per sfuggire al giusto castigo della polizia popolare jugoslava”. “Il prodotto della propaganda d’odio furono episodi di intolleranza spregevoli come quello che avvenne alla stazione di Bologna, quando a un convoglio di profughi fu impedito di fermarsi per dissetare i bambini a bordo o quando, nel 1948, a Taranto, diversi militanti comunisti cercarono di assaltare l’edificio che ospitava gli esuli da Pola”.
“Finché il Pci è stato al governo – afferma Parlato – foibe e esodo erano un tabù, perché Togliatti dipendeva da Mosca come Tito”. Quando il Maresciallo rompe con Stalin per inseguire il progetto della Federazione Balcanica, saranno gli americani a chiedere al governo italiano di mettere a tacere il caso. Perché, nello scacchiere dei due blocchi, la Jugoslavia in quel momento era diventata preziosa per gli Usa: non a caso la questione di Trieste si risolse soltanto nel 1954. Bisognerà attendere il crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda per iniziare a dire certe cose, sottovoce. Ma prima di ottenere cittadinanza nei libri di testo e nei consessi pubblici passeranno ancora anni. Solo nel 2004 il nostro legislatore ha istituito la solennità del Giorno del Ricordo.
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