Pensioni, via subito Quota 100 e tagli sui nuovi assegni
Quota 100 addio. Il provvedimento fortemente voluto dalla Lega, e approvato quando il partito di Matteo Salvini era parte della maggioranza gialloverde che sosteneva il governo Conte I, sarà sostituito.
A dirlo è viceministro dell’Economia Antonio Misiani intervistato da Repubblica.
”Dal primo gennaio 2021 gli italiani pagheranno meno tasse grazie alla riforma Irpef. E se troveremo l’accordo con i sindacati, Quota 100 sarà sostituita da un meccanismo più equo e meno costoso”, ha dichiarato il numero due di via XX settembre.
Misiani ha anche affermato che ”da luglio 16 milioni di lavoratori dipendenti pagheranno meno tasse. E senza toccare l’Iva”, mentre ad aprile ”arriverà in Parlamento la legge delega per riformare l’Irpef e aiutare ceti medi e famiglie, estendendo i benefici anche ad autonomi e pensionati”. Il viceministro dell’Economia ha ribadito che sull’Iva non c’è alcuna discussione aperta. Eppure la sua prospettiva sembra non essere molto lineare con le future mosse economiche. Misiani, infatti, allo stesso tempo non ha escluso che possa essere ”rimodulata per renderla più equa e razionale, non per fare cassa”. Per il vice ministro vi è anche un altro obiettivo da raggiungere: dare certezza a chi deve andare in pensione nel 2021 e”fare una riforma equa e sostenibile che tuteli i giovani e le categorie più fragili con costi inferiori a quelli di Quota 100”.
Nel corso dell’intervista, Misiani si dice preoccupato per la diffusione dell’epidemia di coronavirus che potrebbe danneggiare l’economia mondiale e, di conseguenza, quella italiana. La Cina, infatti, è il primo esportatore mondiale e il terzo fornitore dell’Italia con oltre 30 miliardi di euro di prodotti venduti, tra cui macchinari e componenti semilavorati essenziali per il nostro apparato produttivo. Secondo il viceministro è ancora presto per fare un calcolo preciso dei possibili effettivi negativi sull’economia dovuti all’emergenza legata al coronavirus ma, in linea di massima, si ipotizza che la Cina possa subire una frenata del Pil tra -0,2 e -0,7%. Ovviamente se la situazione non peggiora ulteriormente.
Intanto il governo sta studiando un’alternativa al ricalcolo dell’importo con il metodo contributivo per quanti lasciano il lavoro prima dell’età pensionabile. In base a stime degli esperti, andare in pensione prima ricalcolando l’assegno in base ai contributi versati, comporterebbe un taglio di un terzo dell’importo lordo e un quinto di quello netto. Il pensionato, con una aspettativa di vita di 82 anni, potrebbe perdere un importo che va da 50 mila a 80 mila euro netti. Inoltre, dopo anche 36 anni di lavoro,potrebbe andare sotto i 780 euro mensili della pensione di cittadinanza.
L’ipotesi non piace ai sindacati che oggi si siederanno al tavolo con il governo sulla flessibilità in uscita. L’obiettivo dell’esecutivo è quello di superare Quota 100 e modificare la legge Fornero. Più facile a dirsi che a farsi. Sul piatto, il governo ha studiato una controproposta: sostituire il ricalcolo contributivo con una penalizzazione per ciascun anno di anticipo dell’uscita, forse il 2% all’anno. Ma la partita è complessa.
”Potrebbe essere una strada. Se vuoi andare via prima, ad esempio a 64 anni con 36 o 38 di contributi, hai una penalità”, ha affermato il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta. Secondo alcuni calcoli, la penalità sarebbe più conveniente del ricalcolo in quanto in tre anni di anticipo si perde il 6% anziché il 30%.
L’Osservatorio previdenza della Fondazione Di Vittorio della Cgil snocciola altri dati che dovranno essere valutati dai vari attori simulando cosa succederebbe nel caso in cui il governo decidesse di consentire di andare in pensione a 64 anni, anziché i 67 della Fornero, ma con il ricalcolo anche di quella parte di carriera svolta prima del 1996 che ricade nel retributivo.
”Un metalmeccanico di terzo livello, ad esempio, con 23 mila euro di retribuzione a 64 anni e una carriera lavorativa piatta, senza cioè salti di stipendio, passerebbe da 1.145 a 801 euro di pensione lorda con un taglio del 30%”, ha spiegato Ezio Cigna, responsabile della previdenza pubblica della Cgil. ”La pensione netta- ha continauto- scenderebbe da 952 a 732 euro al mese, meno di quella di cittadinanza e dopo 36 anni di lavoro. In totale rinuncerebbe a 51.480 euro netti dai 64 anni fino agli 82”. Forse ad essere più penalizzati sarebbero i part-time.
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