La bambina con la valigia simbolo dell’esodo istriano
La bambina con la valigia è l’immagine simbolo dell’esodo istriano. Egea aveva 5 anni e nel luglio del 1946 si stava preparando con la mamma a lasciare Pola assieme ad altri 30mila italiani.
Il papà, prelevato dai partigiani di Tito, era sparito nel nulla. Lo zio Alfonso, pochi giorni prima della forzata partenza dall’Istria aveva chiesto ad un fotografo di scattare l’immagine simbolo per non dimenticare mai il dramma dell’esodo.
Egea, con i boccoli da bambina e un vestitino estivo, teneva con tutte e due la manine mani un borsone. Lo zio aveva aggiunto un cartello con la scritta “esule giuliana” e il numero dei polesani costretti ad andarsene dalle violenze di Tito e per non vivere sotto il comunismo. La foto è diventata il simbolo dell’esodo di almeno 250mila italiani dall’Istria, Fiume e la Dalmazia. Egea Haffner, con il nome come il mare, oggi è una signora di 78 anni che vive a Rovereto, in provincia di Trento. Questa sera a Verona sarà presente alla proiezione in anteprima del docufilm “Egea, la bambina con la valigia…. dal cuore esule”, la sua storia adottata per ricordare il dramma delle foibe. Un documentario realizzato con le parole e i ricordi di Egea grazie all’associazione culturale Storia Viva e alla regia di Mauro Vittorio Quattrina. All’anteprima porterà il saluto del Veneto, il vice presidente del Consiglio regionale, Massimo Giorgetti.
I ricordi della seconda guerra mondiale di Egea sono ancora drammatici: “Il fischio delle sirene, per gli allarmi aerei, le fughe nei rifugi sotterranei”. E la ferita del padre prelevato dai partigiani di Tito a conflitto finito non si è mai rimarginata, anche se allora era solo una bambina. “Suonarono al campanello di casa nostra due titini – racconta al Giornale.it – Mia madre andò ad aprire. Dissero che papà doveva venire via con loro per un semplice controllo. Lui si tranquilizzò” seguendo i suoi carnefici. Kurt Haffner aveva fatto da interprete ai tedeschi perché conosceva la lingua. Figlio di un ungherese di Budapest, che a Pola aveva una gioielleria e di una viennese che faceva la pasticciera. Era il primo maggio 1945 e non riapparve mai più. A 26 anni venne probabilmente infoibato nei dintorni di Pisino, forse la notte stessa.
La mamma di Egea, Ersilia Camenaro, era invece figlia di un croato e di un’italiana nel miscuglio etnico dell’Istria. Proprio lei il giorno dopo l’arresto ha visto la sciarpa del marito attorno al collo di un partigiano.
Nel giro di un anno la giovane donna fu costretta a scegliere la via dell’esodo assieme alla piccola Egea. La nonna paterna, l’ultima a partire da Pola, si imbarcò sul piroscafo Toscana, che ha segnato il destino degli esuli. I profughi in patria trovarono prima ospitalità in Sardegna, da una zia a Cagliari e poi si trasferirono nella zona di Bolzano. Egea è cresciuta con i nonni nelle difficoltà quotidiane degli esuli additati come fascisti, anche se non avevano fatto nulla di male. La bambina con la valigia si tuffò nella scuola e “terminati gli studi – racconta – la vita mi sorrise un po’”. Grazie ad un bando dell’Enpas, l’ente nazionale di previdenza per i dipendenti pubblici, ottenne un lavoro come profuga e orfana di guerra. Egea si è ricostruita una vita sposandosi e mettendo al mondo due figlie.
A Pola, dove c’è ancora la casa abbandonata dei nonni, torna spesso per vedere il bellissimo mare, ma resterà per sempre la bambina con la valigia, simbolo dell’esodo, con il ricordo strappato via del padre vittima delle foibe.
il giornale.it