Infibulazione, Unicef e Oms contro la subcultura rituale: 200 milioni di donne mutilate ai genitali
Duecento milioni di donne sono state mutilate ai genitali per perpetrare l’orrenda pratica tribale dell’infibulazione. Che, oramai, non avviene più solo in Africa e Medio Oriente. Ma spessissimo anche in Europa e in Italia. E questo a causa degli enormi flussi migratori di extracomunitari. Che portano in Occidente e nel nostro Paese, assieme alle loro tradizioni, più o meno discutibili, anche questa barbara usanza.
La denuncia arriva, nella Giornata internazionale di tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili, da Unicef e Oms. Che si schierano contro l’infibulazione. Ritenuta, viceversa, da alcuni, una tradizione della cultura africana e mediorientale tutto sommato da rispettare. In nome di una deriva politically correct. Tanto che vi sono due “scuole di pensiero”, al riguardo.
I vergognosi distinguo politically correct sull’infibulazione
C’è chi, appunto, considera l’infibulazione una violenza terribile e devastante contro le donne e la loro femminilità. E chi, invece, ritiene questo tipo di mutilazione, una semplice “modificazione genitale”. Come può esserlo, in Occidente, la chirurgia estetica intima, i piercing o i tatuaggi sui genitali.
Un distinguo gravissimo. Che non tiene conto, fra l’altro, di un aspetto: l’infibulazione – come, d’altra parte, la circoncisione, altra pratica di mutilazione genitali sui maschi – avviene, spessissimo, su bimbi, neonati, adolescenti. Soggetti, cioè, che non hanno possibilità di ribellarsi o di scegliere.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha identificato quattro tipi diversi di mutilazioni genitali attuati per motivi religiosi, rituali o tribali. La rimozione parziale o totale del clitoride, delle piccole e grandi labbra e anche la cucitura. Una pratica orribile e devastante per le donne.
Quando Al Baghdadi ordiò l’infibulazione di tutte le donne
Nel 2014 una enorme campagna di mutilazioni genitali femminili venne avviata in Medioriente e in Africa quando il califfo dello Stato islamico, Al Baghdadi, ordinò l’infibulazione di tutte le donne.
Non ci furono, tuttavia, cortei di femministe occidentali a stracciarsi le vesti in quelle aree.
«Quando Tabitha aveva 16 anni e stava crescendo nel Kenya rurale, la maggior parte delle sue coetanee aveva già subito mutilazioni genitali femminili. – raccontano Unicef e Oms prendendo ad esempio il caso di una delle tante ragazzine violate con l’infibulazione – Una violazione dei diritti umani per la quale, quest’anno, sono a rischio 4 milioni di ragazze».
«Tabitha è rimasta illesa – rivelano le due organizzazioni mondiali – grazie al supporto dei suoi genitori. Che, nonostante l’enorme pressione sociale, hanno salvato la loro figlia da questo destino».
Oms e Unicef: cresce il rischio per le ragazze nel 2030
L’infibulazione comporta conseguenza fisiche, psicologiche e sociali di lungo periodo.
Ma il supporto a questa pratica, secondo Unicef e Oms, è in calo.
Le ragazze adolescenti tra i 15 e i 19 anni che vivono nei Paesi in cui la pratica è più presente sarebbero meno propense a continuare la pratica tribale rispetto alle donne tra i 45 e i 49 anni, secondo le due organizzazioni.
In molti Paesi, le ragazze sono molto meno esposte al rischio di subire l’infibulazione rispetto alle loro madri e nonne. Tuttavia, la rapida crescita della popolazione giovane nei Paesi in cui sono praticate le mutilazioni genitali femminili può portare, ammettono amaramente Unicef e Oms, a una rilevante crescita del numero di ragazze a rischio entro il 2030.
«I giovani – sostengono il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, l’Unicef, l’Un Women e l’Oms – possono giocare un ruolo importante nel porre fine alla pratica. Liberare il potere dei giovani significa investire in movimenti giovanili per difendere l’uguaglianza di genere. E porre fine alla violenza sulle donne e le ragazze. E l’eliminazione di pratiche pericolose».
Dodici aree critiche per le mutilazioni genitali femminili
Il problema è che, nella maggior parte dei casi, non è percepita «come una forma di violenza contro donne e ragazze». La soluzione sembra essere quella di avviare «campagne di comunità che sfidino norme sociali e riti. E coinvolgano uomini e giovani come alleati».
Lo scorso anno al Summit Icpd25 a Nairobi, governi, organizzazioni religiose e aziende private si sono date l’obiettivo di porre fine alla violenza di genere e pratiche pericolose – come le mutilazioni genitali femminili – nell’arco di 10 anni.
A marzo saranno 25 anni dalla Piattaforma per l’azione di Pechino, l’impegno globale per i diritti delle donne in 12 aree critiche, compresa l’eliminazione di tutte le pratiche pericolose contro donne e ragazze.
Ma, purtroppo, queste pratiche tribali si sono oramai trasferite in Occidente. E i numeri , spesso, non dicono la realtà. Il sommerso è enorme. E non intercettabile. Nelle banlieu francesi così come nei quartieri ghetto che affollano sempre di più il nostro Paese, queste terribili violenze contro le donne vengono gestite in segreto come parte delle tradizioni tribali da custodire. E solo quando uno di questi “interventi” finisce male, vengono alla luce. Per poi rientrare, subito dopo, nell’ombra.