Bologna, permessi di soggiorno falsi. Arrestati un avvocato e un tunisino complice
Permessi di soggiorno falsi. La squadra mobile della Questura di Bologna ha arrestato un avvocato di 39 anni del Foro di Bologna. E un uomo di nazionalità tunisina. Entrambi sono indagati falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore. Contraffazione, utilizzo di documenti al fine di determinare il rilascio del permesso di soggiorno. E favoreggiamento della permanenza in clandestinità nel territorio italiano.
Permessi di soggiorno falsi, retata a Bologna
L’indagine è partita a giugno del 2018, su segnalazione dell’ufficio Immigrazione della Questura di Bologna. Che aveva registrato un significativo aumento delle domande di protezione internazionale. Avanzate anche da stranieri che erano in Italia da anni e privi di permesso di soggiorno. I clienti dello studio legale avrebbero trasferito fittiziamente il proprio domicilio nel Bolognese per presentare la domanda.
Gli immigrati richiedenti asilo non avevano mai effettivamente risieduto negli appartamenti indicati nelle carte. In questo scenario emerge il ruolo di “collettore” svolto dall’avvocato di Bologna. Che nel solo 2018, ha presentato oltre 800 istanze di appuntamento per altrettanti stranieri richiedenti permessi. Tra le comunità di stranieri si era diffusa la notizia che bastava rivolgersi all’avvocato di Bologna per ottenere un permesso di soggiorno.
Il ruolo dell’avvocato di Bologna collettore
Dopo un primo contatto telefonico, lo straniero otteneva un appuntamento presso lo studio legale di Bologna per ottenere i permessi di soggiorno. Lì si concludeva l’accordo tra le parti. Con il pagamento di un primo acconto da parte dell’assistito e la fissazione di un appuntamento presso una delle Questure competenti.
Un secondo incontro avveniva qualche giorno prima del primo appuntamento in Questura, durante il quale veniva messa in scena una sorta di “interrogazione” condotta dall’avvocato per preparare l’immigrato all’intervista presso l’ufficio immigrazione. Dalle affermazioni dell’avvocato, spiega ancora la Questura, «emerge inequivocabilmente la sua consapevolezza circa la falsità delle domiciliazioni». Qualora l’assistito non fosse stato in grado di procurarsi autonomamente un domicilio, interveniva la figura del co-indagato tunisino. Che veniva contattato da chi aveva bisogno di una dichiarazione di ospitalità, dietro input diretto dell’avvocato e in sua presenza. L’indagine ha anche consentito di delineare il ruolo di tutti i compartecipi, per un totale di 41 indagati. Un piano molto redditizio ideato e messo in atto dall’avvocato.