Cristiani, il martirio ignorato. In 260 milioni sono in pericolo
È l’orrore della persecuzione cristiana. Una persecuzione ignorata, ma martellante che colpisce 260 milioni di individui ed è costata 2983 vite solo nel 2019.
I terribili dati della «Watch List 2020» compilata dall’Ong americana «Open Doors» sono stati esposti ieri alla Camera dei Deputati da Cristian Nani, responsabile di Open Doors Italia (Porte aperte). «È un vero genocidio ed è ora di dirlo e di reagire subordinando i fondi per la cooperazione a precise garanzie di libertà, cancellando i trattati bilaterali con chi perseguita i cristiani e istituendo fondi per aiutarli a restare nei loro paesi d’origine», propone l’onorevole Andrea Del Mastro (FdI) fondatore dell’intergruppo parlamentare per i Cristiani e organizzatore dell’evento. I numeri parlano da soli. Ai 3mila martiri del 2019, s’aggiungono 9488 attacchi a luoghi di culto, 1052 rapimenti a scopo di estorsione, 3711 fra arresti e detenzioni arbitrarie e 8537 fra abusi o violenze sessuali.
Un panorama di atrocità che mette i Cristiani al primo posto fra le comunità religiose più vessate e a cui assistono indifferenti un’Italia e un’Europa che hanno nel Cristianesimo il proprio fondamento. Anzi, a volte, è proprio l’Europa a determinare la persecuzione o permetterne la continuazione. È il caso dei Cristiani di Siria rappresentati alla Camera dal reverendo George Mouchi. Oggi la guerra è al termine, ma le sanzioni Ue rendono difficile il ritorno di quei cristiani che in Siria sono da sempre uno dei perni delle attività imprenditoriali. Ma il sacerdote è anche il testimone diretto di come il fanatismo jihadista non sia il solo nemico. Dopo aver condiviso con la famiglia le sofferenze dei Cristiani di Qamishli, la città del nord-est assediata dell’Isis dal 2014 al 2016, padre Mouchi si è visto rapire proprio dalle milizie curde. Milizie considerate un freno al fanatismo jihadista, ma che – come spiega il reverendo – «spesso mal tollerano la presenza cristiana». Così mentre la Siria resta all’11° posto nella classifica dei paesi dove la persecuzione raggiunge, secondo «Open Doors» punte «estreme» l’esodo cristiano non si arresta. A fronte dei 2 milioni e 200mila fedeli censiti prima della guerra, ne restano oggi appena 744mila. Situazione ancor più devastante in Iraq dove dopo la caduta di Saddam Hussein la comunità cristiana ha visto scomparire oltre l’87 per cento del suo milione e mezzo di fedeli. E a Mosul – strappata da due anni a un Isis sconfitto, ma non debellato – solo una cinquantina di fedeli ha fatto ritorno alle proprie case. Non va meglio nel resto del Paese dove minacce e intimidazioni delle milizie sciite filo iraniane sono realtà quotidiane. Ma al primo posto della «Watch List» di «Open Doors» resta quella Corea del Nord che conta oltre 50mila cristiani prigionieri dei campi di lavoro. Subito dietro arrivano Afghanistan, Somalia e Libia, paesi dove l’intervento occidentale sembra alimentare l’intolleranza anti-cristiana. In termini di tendenza la situazione più grave è però quella di un Sahel e di un’Africa subsahariana dove l’eliminazione di Gheddafi – voluta da Francia e Nato – ha favorito la diffusione del contagio islamista alimentato dalle tribù tuareg. Quel contagio, aiutato dai finanziamenti del Qatar, ha destabilizzato prima il Mali e poi l’intera regione creando una sorta di Califfato nero che attraverso Burkina Faso, Niger, Ciad e Mauritania arriva alla Nigeria. Nel Burqina Faso noto un tempo per la sua tolleranza si registrano ormai dozzine di uccisioni di sacerdoti . E in Nigeria – al dodicesimo posto della lista «nera» di Open Doors – alle stragi di Boko Haram, il gruppo terrorista legato allo Stato Islamico si aggiungono gli eccidi di cristiani messi a segno dai pastori musulmani Fulani. Il tutto in un arco geografico che, nell’indifferenza dell’Europa, si sovrappone esattamente alle rotte dei migranti diretti in Libia e Italia.
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