Mezzo milione di filippini in fuga dal vulcano: “Sta per succedere qualcosa di tremendo”
La chiamano «cintura di fuoco», un’area a ferro di cavallo nell’oceano Pacifico dove le placche tettoniche entrano in collisione provocando terremoti e attività vulcaniche frequenti.
Le 7.600 isole dell’arcipelago filippino si trovano in corrispondenza di quella «cintura». Nel gennaio di due anni fa decine di migliaia di persone erano state evacuate a causa dell’eruzione del Monte Mayon. Ora la storia si ripete: da due giorni il Paese è in allarme dopo che il vulcano Taal – a dispetto delle sue dimensioni ridotte uno dei più attivi e pericolosi del Paese – domenica sera ha cominciato a proiettare nell’atmosfera, dal cratere principale, una colonna di cenere e vapore acqueo alta tra i 10 e i 15 chilometri, insieme a fontane di lava. Ad accompagnare la scena, fulmini e scosse sismiche: in circa ventiquattr’ore, dalla metà di domenica fino a ieri, sono stati registrati 144 terremoti di origine vulcanica. Ieri l’Istituto filippino di vulcanologia e sismologia ha elevato il livello di allerta a quattro: il quinto, il grado massimo di pericolo, scatta solo quando l’eruzione è in atto. Gli esperti hanno avvertito che un fenomeno di tipo «esplosivo» potrebbe verificarsi in qualunque momento nelle prossime ore o giorni. E potrebbe portare con sé anche uno tsunami, poiché il Taal è situato al centro dell’omonimo lago.
Nell’area sono decine di migliaia i residenti sfollati – erano 16.400 già domenica sera – e ieri lo stato di calamità è stato proclamato per l’intera provincia di Batangas, sull’isola di Luzon, dove si trova il vulcano. Le autorità hanno predisposto dei centri temporanei dove ospitare le persone evacuate, ma i numeri da gestire sembrano destinati ad aumentare. In totale, mezzo milione di persone è interessata dall’allerta. La pericolosità del vulcano è data infatti non tanto dalla sua potenza, quanto dall’alta densità abitativa dell’area che lo circonda: nei pressi del cratere, posizionato a circa 70 chilometri a Sud della capitale Manila, ci sono una decina di città e centri abitati, per un totale di circa 760mila persone.
Da domenica sera tutti i voli dell’aeroporto Ninoy Aquino di Manila sono stati cancellati. Almeno fino a ieri mattina, quando in un momento di tregua il presidente Rodrigo Duterte, accompagnato da un senatore, ha chiesto di volare sopra la zona per verificare la situazione e gli eventuali danni già arrecati dal vulcano attivo. Ma non è solo una eventuale eruzione a fare paura. Un ulteriore pericolo è dato dalle ceneri, particolarmente pericolose per la salute, cadute abbondantemente sulle zone abitate circostanti, anche miste alla pioggia. Per questo il governo si è raccomandato di rimanere al chiuso, oppure di munirsi di mascherine se non si può fare a meno di uscire.
L’attività del Taal non è una novità per le Filippine. Il vulcano è eruttato più di trenta volte negli ultimi cinque secoli, l’ultima nel 1977. L’episodio più grave fu quello del 1911, quando morirono nel complesso 1.500 persone. La più lunga quella del 1754, quando dai suoi crateri continuarono a fuoriuscire cenere e magma per mesi. Secondo le autorità filippine, una riproposizione di tale eruzione a lungo termine sarebbe «il peggiore scenario possibile».
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