Altri due abbandonano M5s ma Di Maio teme Fioramonti
È una tempesta perfetta. O, se preferite, un effetto domino che rischia di travolgere il M5s da destra e da sinistra. A meno di 48 ore dall’espulsione eccellente del senatore Gianluigi Paragone altri due parlamentari stellati hanno preso la via del Gruppo Misto.
Sono usciti per volontà loro, come l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, accusando il capo politico Luigi Di Maio di gestione «verticistica» del Movimento. Non poco tempo fa si sarebbe parlato di due peones, ma ora ogni addio merita paginate di giornali, lanci d’agenzia e homepage dei siti. I deputati Nunzio Angiola e Gianluca Rospi sono altri due mattoncini che rischiano di far crollare il castello del ministro degli Esteri di Pomigliano d’Arco. E possono indebolire il governo giallorosso di Giuseppe Conte.
Di Maio, avvistato ieri in compagnia della fidanzata Virginia Saba all’aeroporto di Madrid, è rimasto in silenzio anche sulla drammatica escalation internazionale. Dalla Libia all’Irak. Per quanto riguarda, invece, le questioni interne al M5s in dissoluzione sembra intenzionato a mantenere la barra dritta e il pugno di ferro. Costi quel che costi. A breve potrebbero arrivare decine di provvedimenti disciplinari nei confronti di chi non ha restituito parte degli stipendi. Una stretta che, in alcuni casi, potrebbe portare perfino alla sospensione dei morosi dal Movimento. Ma la verità è che la «faccia feroce» del capo politico non è niente altro che indice di debolezza e isolamento. Ne sono testimonianza le prime perplessità che, sottotraccia, stanno arrivando all’entourage di Di Maio dai settori grillini più vicini a Conte. Il timore è che una disgregazione dell’azionista di maggioranza dell’esecutivo porti a una fine anticipata dell’esperienza giallorossa. La teoria più ardita di «fichiani» e «contiani» disegna uno scenario quasi paradossale, con il capo politico ben contento di far precipitare la situazione interna per affossare un governo che non ha mai digerito. E ricominciare daccapo con un manipolo di fedelissimi.
Resta la cronaca. Dominata dalle uscite di Rospi e Angiola. Due parlamentari che si sono tenuti abbastanza alla larga dalle diatribe tra le correnti del M5s. «Ma non sono vicini a Fioramonti», puntualizza un loro ex collega di Montecitorio. Entrambi sono stati eletti all’uninominale e rientrano in quella vasta area che da mesi lamenta la «poca collegialità» delle decisioni dei Cinque stelle. Nessuno dei due ha votato la legge di bilancio. Angiola ieri ha scritto: «Ho più volte denunciato scarsa collegialità e scarsa attenzione ai singoli parlamentari, sia come persone, sia come professionisti, con tutte le conseguenze che ciò può comportare in termini di visibilità dei territori nelle scelte legislative e di governo». Accuse speculari da parte di Rospi: «Non è più tollerabile una gestione verticistica e oligarchica del gruppo parlamentare con il risultato che ristrette minoranze decidono per la maggioranza, il M5s non vuole più dialogare, con la base che si limita a veicolare le scelte prese dall’alto senza più essere portatrice di proposte». Angiola ha poi sottolineato: «Preciso che la mia decisione non è da porsi in connessione con quella di altri colleghi parlamentari, come Lorenzo Fioramonti, al quale mi sono limitato a esprimere nei giorni scorsi comprensione e solidarietà».
A preoccupare Di Maio, più che le uscite di Angiola e Rospi e le bordate di Paragone, è Fioramonti. «Bisogna vedere dove vuole andare a parare con questa cosa», dice dell’ex ministro un parlamentare vicino al capo politico. E c’è Di Battista, liquidato dagli amici di Di Maio come «uno che parla troppo invece di fare».
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