M5s, prove di scissione Dopo i tre alla Lega nuovo gruppo in Senato
Ci sarebbero altri senatori grillini in rampa di lancio. C’è in campo il tentativo di staccare una costola dal Movimento e formare un nuovo gruppo al Senato. Questo significa, in base al regolamento di Palazzo Madama, che la manovra riguarda almeno dieci senatori. E le regole prevedono un’ulteriore complicazione: bisogna aggregarsi sotto un simbolo presentato alle elezioni, come ha fatto Italia viva, che ha potuto creare un gruppo autonomo solo grazie a Riccardo Nencini e al simbolo dei socialisti. «Si sta scatenando un mercato dei simboli – conferma Maurizio Gasparri – operazioni di piccolo cabotaggio che non aiutano a sopravvivere».
Il nuovo gruppo, schierato a sinistra, resterebbe in maggioranza, ma con il peso ora negato ai peones dalla verticistica organizzazione dei 5s. Luigi Di Maio, in ansia per la tenuta del M5s, ha dato il via libera alle contromisure. L’obiettivo è arrestare la fuga roteando bastoni e offrendo carote. Rispunta anche la minaccia mai attuata di far pagare una penale: «Ne hanno previste tre – spiega l’avvocato Lorenzo Borrè legale in varie cause contro i grillini – ma sono tutte tecnicamente inapplicabili».
Alla bastonatura ci ha pensato direttamente uno degli esponenti della «pizza magica» di Luigi Di Maio, il circolo più ristretto che il leader ha cooptato da Pomigliano d’Arco e dintorni e fatto assumere nei ministeri che ha guidato. È il caso di Dario De Falco, una delle persone a cui Di Maio ha chiesto di attivarsi per fermare l’emorragia. E De Falco ha cominciato randellando i tre fuoriusciti con un violento post su Facebook: «Vi racconto chi sono i traditori». Francesco Urraro mi ha detto che ci aveva ripensato sulla prescrizione, ma poi, scrive De Falco «ho capito che era un pretesto», usato perché «è un voltagabbana». Su Ugo Grassi, l’altro avvocato campano (quindi «traditore della sua terra» per essere passato con la Lega, secondo De Falco), l’argomento infamante è il più classico: i soldi. «Era critico sulle restituzioni -racconta De Falco – e piangendo mi disse che così non si riusciva a campare. «Vai a dirlo a chi si fa il mazzo per 12 ore al giorno a 700/800 euro al mese», attacca De Falco, che grazie all’ex compagno di liceo Luigi Di Maio è passato da redditi zero a uno stipendio annuo di centomila euro. Di Lucidi, attivista storico del M5s, si insinua invece che si sia dimesso «perché Di Maio non ha voluto scattare un selfie con lui». Il messaggio è chiaro: chi se ne va sarà messo alla gogna. Per chi resta a porgere la carota c’è direttamente il premier Giuseppe Conte che ha lanciato un appello rivolto «a chi forse fino a oggi ha sentito di non essere riuscito a dare un contributo, come avrebbe voluto» e garantendo che «tutte le competenze e tutte le sensibilità potranno trovare ascolto». Promesse che paiono evocare proprio quel «mercato delle vacche» denunciato da Di Maio, cui Salvini ha replicato con una minaccia di querela. Basterà a placare l’agitazione? Ieri la senatrice Angela Piarulli ha smentito di voler uscire. Ma altri paiono meno disposti a credere alle lusinghe. E che il nervosismo sia palpabile lo mostra anche l’attacco frontale del senatore Luigi Gallo, area Fico, al collega di partito Gianluigi Paragone, in dissenso sul Mes: «È il virus leghista che ha infettato il Movimento».