La maggioranza perde voti Legge elettorale più lontana
L’ultimo sondaggio conferma i peggiori incubi della maggioranza: secondo la rilevazione della Noto, presentata a Porta a Porta, il centrodestra è avanti di dieci punti sulla miscela giallorossa, centrosinistra più Cinque stelle: 50,2 per cento contro 40,5.
E se nello schieramento d’opposizione gli scostamenti si giocano all’interno dei tre componenti principali della coalizione (al momento a guadagnare terreno è il partito di Giorgia Meloni, davanti a Fi, mentre la Lega arretra di due punti restando primo partito) a sinistra perdono tutti terreno, tranne il Pd che resta bloccato al 18 per cento. I 5 Stelle si sgranano sia in Parlamento che nel consenso e si confermano dietro ai dem.
Il calo secco di Italia viva, due punti, ora è al 3,5 per cento, complica la strada verso un accordo sulla legge elettorale ripresa ieri pomeriggio in un vertice nella sala della commissione Industria di Palazzo Madama. Si parte dall’intesa su un proporzionale corretto per evitare un’eccessiva frammentazione. Resta da decidere, dettaglio non da poco, il meccanismo di correzione.
Il Pd è arrivato al vertice facendosi precedere da una dichiarazione del capogruppo Andrea Marcucci che tende ad alzare l’asticella: «Se si parla di soglia esplicita per noi non è pensabile sia sotto il 5 per cento». Matteo Renzi si sente sotto attacco ed è convinto che il calo nei sondaggi dipenda dall’assalto giudiziario sul caso Open. Ma ha anche fiutato odore di trappola nascosta nel quadro presentato dal ministro M5s Federico D’Incà e mandato Maria Elena Boschi al tavolo per far capire che non accetterà di essere accerchiato. Il primo a prendere la parola per Italia Viva, il deputato romagnolo Marco Di Maio, ha confermato che il 5 per cento non spaventa il suo partito. Ma «con riparto nazionale». Formula che taglia fuori l’altro sistema, il modello spagnolo: aumenta il numero delle circoscrizioni e crea una soglia di sbarramento implicita più alta, fino all’8%. I veti incrociati di Iv sul modello spagnolo e di Leu sulla soglia al 5% (la vorrebbero al 3) ha creato un’impasse. E malumori di Pd e M5s. Con un retropensiero malizioso: lo stallo sarebbe voluto, un modo per tirarla in lungo e arrivare a soluzioni di emergenza con sbarramento più basso. Non resta che prendere tempo aprendo il confronto con le opposizioni.
La partita è complessa e si intreccia agli equilibri della maggioranza. Nonostante le continue scosse, al momento in Parlamento sono in pochi a voler davvero avvicinare la data del voto, visto che dal Quirinale i segnali non cambiano: il Conte Bis è l’ultimo giro di giostra. Se cade, basta pastrocchi. Ora c’è da chiudere la manovra di bilancio a colpi di voti di fiducia. Ma, in attesa della prova del fuoco con il voto in Emilia Romagna, la maggioranza cerca nuovo slancio. Lo spauracchio dell’aumento Iva non ci sarà più e, con tanti fronti aperti, dalle crisi aziendali (vedi Ilva e Alitalia) alla giustizia, bisogna trovare una ragione sociale per andare avanti. Il terreno comune del «green new deal» al momento è poco più che uno slogan. Lunedì si inizierà a discutere del futuro con un «vertice dei cento giorni», ma si parte in salita, visto che non c’è accordo nemmeno sul metodo. Di Maio vorrebbe riesumare la formula del «contratto di governo», idea che a Zingaretti non piace.
Scenario ingarbugliato che dalle Camere viene guardato con ansia da tanti, così come la raccolta di firme per il referendum sul taglio dei parlamentari. Ieri la notizia di una conferenza stampa dei promotori ha fatto scattare il batticuore. Ma le firme sono ancora a quota 55, dieci sotto alla soglia richiesta. «Ma noi non demordiamo», promette l’azzurro Andrea Cangini.
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