Tassi zero e salvataggi: la corsa delle banche ad alzare i costi dei conti
La grande crisi bancaria ha già visto cadere come birilli nove istituti, mandando in bilico anche Carige e Popolare di Bari. A pagare il prezzo di risoluzioni e salvataggi sono state anche le big del credito sane versando copiosi oboli ai vari fondi di sistema aperti come paracadute.
Ma ora la tassa si riversa sui correntisti con l’aumento dei costi dei conti. E si fa ancora più salata nell’epoca dei tassi negativi, in cui gli istituti devono ricavare più commissioni da servizi per compensare l’erosione del margine netto da interessi. Nei conti correnti italiani sono depositati oltre 2mila miliardi: anche piccoli rincari possono portare a un incremento significativo dei ricavi. Quali banche hanno già alzato i prezzi e quali invece lo faranno nei prossimi mesi? Partiamo dalle big. L’ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, a ottobre ha detto che i tassi negativi saranno trasferiti solo ai depositi superiori al milione. Intesa si è mossa nel 2017 comunicando ai correntisti che dal primo agosto dello stesso anno lasciare fermi i propri soldi sul proprio conto corrente avrebbe avuto un costo anche per le opzioni a zero spese come Zerotondo. L’aumento però non è scattato per i clienti con una giacenza fino a 2mila euro. Per tutti gli altri, tra 2 e 10mila euro, i rincari vanno da 20 centesimi a 8,4 euro al mese. Da 2,4 a poco più di 100 euro l’anno.
Ubi per un conto corrente base con spese pari a 18,4 euro ha applicato un aumento di 16,3 euro sul costo gestione, allo stesso tempo per l’aumento delle spese per le singole operazioni passa da 0,50 a 0,60 euro. Bper da ottobre ha introdotto un fisso trimestrale di 3 euro mentre Mps è stata ferma, idem il Banco Bpm. Ma ciò non esclude possibili aumenti nel 2020. Come farà CheBanca! che dal primo gennaio porterà il canone annuo del conto Yellow da 24 a 36 euro. Cosi l’indicatore sintetico di costo annuo (Isc) per i giovani e i pensionati con bassa operatività passerà da 12 a 36 euro e per gli altri clienti da 36 a 60 euro. Ad annunciare una stangatina è anche Fineco: da febbraio 2020 introdurrà un costo di gestione pari a 3,95 euro al mese, azzerabile con bonus mensili legati a una serie di condizioni (chi ha un prestito, per esempio, non paga). Non avranno canone i minori di 28 anni e i nuovi correntisti per 12 mesi dall’apertura del conto. Il canone di 3,95 euro sarà esteso ai clienti di vecchia data che pagano 5,95 euro al mese. Considerando che Fineco ha 1,3 milioni di clienti e depositi a vista per circa 21 miliardi, gli analisti calcolano che l’aumento dovrebbe generare 65 milioni. Ad esempio applicando il potenziale aumento a 700 mila clienti, l’effetto in termini di maggiori ricavi è di circa 33 milioni.
Secondo gli ultimi dati di Bankitalia, nel 2018 la spesa per la gestione di un conto corrente è cresciuta complessivamente di 7,5 euro rispetto al 2017, quasi il 10%, attestandosi a 86,9 euro. Più aggiornati i conti di un’indagine di SosTariffe.it che ha confrontato tutti i costi sostenuti dai clienti a settembre 2019 con quelli di settembre 2018. Nell’ultimo anno i costi di gestione sono cresciuti del 32% e a guidare l’ondata di rincari sono le banche online (con un costo medio salito da 32,7 a 43,2 euro).
Molte banche si appellano ai contributi versati al Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fidt), che risarcisce il cliente su giacenze fino a 100 mila euro se un istituto fallisce, e al Fondo nazionale di risoluzione. L’Abi ha calcolato che l’impegno dei suoi associati, tra contributi ai vari fondi e al fondo Atlante, è stato di 12,2 miliardi tra il 2015 e il 2018. Escludendo dunque Carige e Pop Bari. Mettendo insieme i cuscinetti creati dalle altre banche scaricando una parte di questi oboli sui clienti (se solo Fineco incasserà dai rincari 65 milioni la cifra complessiva può superare il miliardo), il rischio sembra quello di ritrovarsi con una sorta di «bail in» mascherato.
Come può reagire il correntista? Se il conto è diventato troppo salato, può cambiare banca sfruttando la portabilità. Il trasferimento deve essere eseguito dal nuovo istituto entro 12 giorni lavorativi dalla data in cui viene fatta la richiesta. Se non sono rispettati i termini per il passaggio dei servizi di pagamento, la banca inadempiente deve risarcire il consumatore con una multa di 40 euro cui va aggiunta, per ciascun giorno di ritardo, un’ulteriore penale di importo variabile. In caso di contestazioni si può presentare un reclamo alla banca e, se la risposta non arriva entro 30 giorni o se non è soddisfacente, si può ricorrere all’Arbitro Bancario e Finanziario istituito da Bankitalia (il ricorso si fa online e costa 20 euro).
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