Ecco chi sono i “cacciatori di scafisti”
Sempre più spesso, dopo uno sbarco di una nave militare o di una nave ong, arrivano notizie circa la cattura di scafisti ed organizzatori dei viaggi della speranza. A volte sono “semplici” timonieri pagati per effettuare il tragitto dalle coste africane a quelle italiane, in altre occasioni invece si scoprono veri e propri carcerieri che soprattutto in Libia hanno recluso per mesi i migranti in condizioni estreme. L’ultima operazione anti scafisti è stata portata a termine nelle scorse ore a Messina, con tre trafficanti arrestati dopo essere stati individuati tra i 61 migranti della Alan Kurdi. Coloro che tra i poliziotti ed i carabinieri si occupano di scovare i criminali, vengono chiamati “cacciatori di scafisti“.
La prima fase: l’individuazione degli scafisti
A spiegare come si riesce ad incastrare uno scafisti è stato, con un’intervista rilasciata a Repubblica, il capo della Squadra Mobile di Ragusa Nino Ciavola. È lui a guidare un gruppo composto da sei poliziotti incaricati proprio di individuare i trafficanti di esseri umani. La questura di Ragusa è un punto caldo della lotta all’immigrazione irregolare. Questo perché nella provincia iblea il porto più importante è quello di Pozzallo, che negli anni dell’emergenza si è trasformato in una sorta di “Lampedusa” della Sicilia continentale. Quando tra il 2015 ed il 2017 in Italia approdavano decine di migranti ogni giorno, molte imbarcazioni venivano fatte approdare a Pozzallo. Dunque, la locale questura e la locale procura hanno acquisito un’esperienza tale da rendere le istituzioni ragusane all’avanguardia sul fronte della cattura degli scafisti.
Ciavola ha spiegato come esistono determinati indizi in grado di far riconoscere uno scafista. In primo luogo, vi è un atteggiamento di riverenza da parte dei migranti verso chi ha guidato la barca fino in territorio italiano: “Spesso i migranti – si legge nell’intervista – non si muovono neppure se non leggono un cenno di assenso, anche solo con il capo di chi ha guidato il barcone”. Dunque, se emerge dal gruppo una persona o più persone verso cui ci si rivolge più spesso, ecco che scatta il primo sospetto. Poi vi è un altro indizio legato questa volta al comportamento dello stesso scafista: “Cercano di mimetizzarsi tra i migranti – ha dichiarato Ciavola – Gli atteggiamenti sono troppo evidenti, magari facendosi scudo con i bambini ed i ragazzini”. Infine, non per ultimo, vi sono anche elementi legati all’aspetto dello scafista: se si presentano ben vestiti, senza segni di vessazioni sul corpo oppure con le mani sporche di olio e con i calli di chi ha lavorato con corde ed ancore, ecco che scattano ulteriori sospetti.
Come ricavare le prove
Fin qui i sospetti dunque, con il lavoro della polizia di Ragusa e degli altri agenti in giro per la Sicilia ben collaudato a tal punto da arrivare facilmente all’individuazione degli scafisti. Ma i sospetti non bastano: occorrono prove per poter assicurare alla giustizia i trafficanti di esseri umani. E per averle servono testimonianze credibili, magari soprattutto degli stessi migranti. Tuttavia, ben si intuisce come questi ultimi difficilmente siano propensi a parlare: troppo alto il rischio di ritorsioni verso di loro o verso i propri familiari, troppo alta la paura di testimoniare contro chi li ha probabilmente anche segregati per mesi. Ecco quindi che ad entrare in campo in questa seconda fase sono interpreti e mediatori culturali.
Come spiegato ancora da Ciavola, la questura di Ragusa è riuscita in questi ultimi anni a reclutare una schiera di interpreti, spesso migranti che si trovano in Sicilia da diverso tempo, che riescono ad entrare in contatto con chi è appena sbarcato. Parlare la stessa lingua favorisce certamente un clima di maggiore fiducia ed è così dunque che, per i vari inquirenti, c’è maggiore speranza di ottenere le testimonianze sperate. L’arresto degli scafisti appare importante sia per perseguire importanti reati e sia per ricostruire le dinamiche delle varie rotte migratorie che culminano con sbarchi nel nostro paese.