A Palazzo Chigi è rissa continua. Ma nessuno stacca la spina
Immaginate un circolo di presunti gentiluomini dove ci si incontra almeno una volta a settimana solo per litigare. A ogni riunione ripetono sempre la stessa domanda: come giustificare la propria esistenza.
Tutto questo innesca una serie di discussioni surreali, tanto che ti chiedi se arriveranno una volta per tutte a prendersi a sberle o almeno a togliersi il saluto. Fino a quando la rissosa compagnia potrà andare avanti così? Nel frattempo tutto intorno a loro sta cadendo a pezzi e non ci sono neppure più i soldi per fare la spesa. Questa storia assomiglia alla trama di un lievemente angosciante racconto di Isaac Asimov, pubblicato in Italia da Minumum Fax: Dodici casi per i vedovi neri. In realtà è quello che accade ogni santo giorno nella maggioranza che sostiene il Conte bis.
L’ultima scusa è la riforma della prescrizione. È la bandiera dei Cinque Stelle. È cuore della legge «spazza corrotti» che Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia dei due governi Conte, considera il suo capolavoro politico. Il primo gennaio 2020 deve entrare in vigore. Cosa prevede? L’interruzione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia in caso di assoluzione sia di condanna. I processi di appello e cassazione potrebbero durare anche in eterno ma tu resti comunque sotto processo. Di Maio e Di Battista hanno subito fatto sapere che questa è la linea del Piave. Conte per una volta sembra assecondarli, ma si sta pure muovendo come mediatore. Il Pd dice che farla partire adesso, tra poco più di un mese, è una follia. La prescrizione è un principio di garanzia per chi deve difendersi da un’accusa. Non puoi appunto stare con la spada di Damocle della giustizia a tempo indeterminato. Tutti hanno diritto a un processo equo e rapido. In Italia invece i tempi della giustizia sono lentissimi e bizantini. Quindi prima bisogna rendere i tribunali efficienti e veloci. Renzi in questo caso si associa ed è ancora più determinato. Da qui la rissa che tiene banco per tutta la mattinata. I grillini urlano e minacciano, Zingaretti e i suoi replicano come se non ci fosse domani, Renzi è lì lì per mandare tutti a casa. Il Quirinale in silenzio fa comunque trapelare la preoccupazione per un governo senza futuro. Sembra la fine.
Poi all’improvviso tutti si rasserenano. Lo stesso Bonafede dice che non ha alcuna intenzione di far saltare il governo. Nel Pd si alza un esercito di pompieri a spegnere i fuochi. C’è chi assicura che l’idea della «prescrizione rateizzata» dell’ex capo della procura di Milano Bruti Liberati può diventare un buon compromesso. Accusano Renzi di fare il gioco di Salvini e della Meloni e lui quasi fa finta di nulla. Andrea Orlando, ex Guardasigilli dem, fa sapere che ha parlato con Conte e assicura che una soluzione si troverà. Uno si aspetta che Di Maio, spiazzato dal doroteismo del premier, punti i cannoni contro Palazzo Chigi. Invece no. Spunta un Giggino in modalità gattino di Facebook: «Non vedo motivo di alimentare tensioni. Ogni buona proposta è bene accetta». Il ritornello diventa così: non si può fare cadere questo governo sulla giustizia. Anche oggi tutti attaccati alla poltrona.
Risolto? Mica tanto. L’altra sera i partiti della maggioranza hanno trovato l’accordo per una legge elettorale. La scelta è su un sistema proporzionale corretto, con una soglia di sbarramento da definire. Qui cominciano le discussioni. Quale percentuale? Il Pd fa sapere che sotto il 5 per cento non si scende e comunque loro vogliono il doppio turno. Per la precisione: un doppio turno che garantisca a chi vince il 55 per cento dei seggi e a chi perde il 45. Tutti gli altri non pervenuti.
Come a dire: tanto in futuro ci saremo a gareggiare solo noi e la Lega. Per i Cinque Stelle è troppo. È chiaro che i Dem lavorano per la loro estinzione. Renzi, che vede il 5 per cento come un miraggio e il doppio turno come uno scherzo di cattivo gusto, è pronto a fare le barricate. Insomma, passata la prescrizione (per ora) ci si accapiglia sui resti e sulle circoscrizioni. Al club dei vedovi neri non si fa mai giorno.
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