Il migrante accusato di stupro era ospite di una Onlus indagata

Catene d’oro, Porsche e vestiti firmati. Il 26enne nigeriano, accusato di aver segregato e stuprato per 10 giorni una ragazza 22enne, si presentava così sui social.

In realtà, però, Peter Chiebuka era ospite di una palazzina in provincia di Padova, controllata dalla Onlus Edeco, i cui vertici sono indagati.

L’associazione con sede a Battaglia Terme era nata nel 2011 come gruppo dedito allo smaltimento dei rifiuti ma, nel 2014, si butta nel settore dell’accoglienza dei migranti e, nel giro di poco tempo, riesce ad assicurarsi diversi appalti in Veneto. Secondo quanto riferisce La Verità, la Onlus era riuscita ad arrivare a gestire fino a 1.700 richiedenti asilo in un solo trimestre. Il fatturato era in media di 20 milioni di euro all’anno, ma nel 2017, anno in cui la Onlus aveva accolto il maggior numero di migranti, il ricavo era schizzato fino a 40 milioni. Proprio questo cambio di rotta aveva dato il via alle prime inchieste: la giuardia di finanza intendeva far luce sul centro di Cona, in provincia di Venezia, che risultava sovraffollata. Secondo la Asl, infatti, avrebbe potuto accogliere solo 450 ospiti, mentre ad un certo punto se n’erano contati quasi 2mila. Inoltre, a prendersi cura dei richiedenti asilo avrebbero dovuto esserci 43 operatori, ma nel centro ne risultavano solamente 17.

Il mese prossimo partirà a Padova il processo contro i vertici della cooperativa e contro i due ex viceprefetti, che secondo l’accusa avrebbero favorito l’assegnazione degli appalti alla Onlus. Le accuse sono di corruzione, abuso d’ ufficio, turbativa d’ asta, falso, frode in pubbliche forniture.

E proprio nelle strutture gestite dalla cooperativa sotto inchiesta risiedeva il nigeriano, ora accusato di sequestro di persona, violenza sessuale e rapina, dato che avrebbe anche rubato alla ragazza i 2mila euro che aveva portato per la sua nuova vita in Italia. Il responsabile della struttura ha assicurato alla Verità di non essere a conoscenza di nulla: “In quel caso saremmo stati noi a segnalare e denunciare i fatti alle autorità”.

Invece, per uscire da quell’incubo, la ragazza ha dovuto usare tutto il suo coraggio, per riprendersi il cellulare sequestratole dal suo aguzzino e scrivere un messaggio a un amico in Fracia. Questi avrebbe poi allertato le autorità francesi, che avrebbero dato indicazioni alle forze dell’ordine italiane, in merito al sequestro.

il giornale.it

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