Su Parigi calano i trattori: “Basta, siamo alla fame”
«Abbiamo cibo per tre giorni. Non ce ne andremo fino a che Emmanuel Macron non ci riceverà», dicono gli agricoltori dall’alto dei loro trattori, circa un migliaio, che arrivano a Parigi, già in mattinata, da tutta la Francia, e mandano in tilt le uscite autostradali e il traffico cittadino.
Altri duecento sono arrivati nella capitale, in macchina o a piedi, e raggiungono gli Champs Elysées, quasi a non voler far dimenticare i momenti bui dei gilet gialli in azione l’anno scorso. Bloccano il viale simbolo di Parigi armati solo di balle di fieno, che gettano sull’asfalto e stridono con i luccichii delle boutiques di lusso già addobbate per il Natale.
È passato un anno esatto dalla rivolta dei jilets jaunes, e la rabbia in Francia non si è del tutto placata. Ieri è toccato agli agricoltori-allevatori, che hanno bloccato periferia e centro di Parigi, per fare pressing alla vigilia delle trattative commerciali con la grande distribuzione, in cui saranno fissati i prezzi per un anno. «Un agricoltore su tre guadagna circa 300 euro al mese», dice uno di loro. Cifre da fame, confermate dalle rilevazioni, che parlano di un agricoltore su tre che nel 2015 ha guadagnato meno di 350 euro al mese. Sostanzialmente: si indebitano per vivere oppure chiudono battenti. In 50 anni, il numero degli agricoltori si è ridotto di quattro volte. Perciò ce l’hanno con il governo, a cui chiedono di intervenire con lo slogan «Macron, reponds», Macron rispondi, mentre invitano i francesi a seguirli dietro l’hashtag #sauvetonpaysan (salva il tuo contadino). E ce l’hanno con l’Unione europea. Sul banco degli imputati: gli accordi di libero scambio chiusi tra l’Europa e il Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay) e tra l’Europa e il Canada (Ceta). Il paradosso è che gli agricoltori francesi devono rispettare le regole sanitarie europee mentre la Francia apre alla carne canadese che non le applica. Poi c’è la questione della tassazione sull’olio di palma e il tema dei pesticidi, vietati in alcune zone da gennaio 2020. Per questo, il giorno prima, sono scesi in piazza a Berlino anche i colleghi tedeschi e quelli nordirlandesi.
La protesta degli agricoltori in Francia è solo un assaggio del momento più caldo, previsto il 5 dicembre, quando si svolgerà la grande mobilitazione contro la riforma delle pensioni e lo sciopero generale. «Il muro» lo ha già definito il governo, consapevole che i manifestanti, tra cui le più grandi sigle sindacali (alle quali si uniranno Air France, avvocati, magistrati e gilet gialli), intendono paralizzare l’intero Paese. Ieri il primo ministro Edouard Philippe si è detto pronto a un compromesso sulla data di entrata in vigore della riforma, con la quale si vuole introdurre un regime universale, da applicare a tutti i nati dal 1963 e che metta fine ai 42 oggi esistenti. L’attuazione – ha precisato il premier – non sarà «immediata e brutale».
«Cautela» è la parola d’ordine all’Eliseo, dove ieri Macron ha riunito i ministri. Per questo della riforma non si conoscono i dettagli. «I termini precisi non sono ancora noti perché le consultazioni vanno avanti», ha riferito il presidente, mentre Philippe si è impegnato a chiarire i punti oscuri a metà dicembre, «per uscire dall’ambiguità». Sarà la prova più dura della seconda parte del quinquennio Macron, ora che in Francia sono tre le forze in gioco: il partito del presidente, il Rassemblement National di Marine Le Pen e il partito della rabbia.
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