Vittorio Feltri, il racconto di una notte da incubo: prostitute, transessuali e cocaina come “carburante”

Pubblichiamo un articolo di quasi 40 anni fa del direttore Vittorio Feltri. Racconta di una notte in giro a Milano con la Buoncostume: le strade erano piene di “passeggiatrici” e trans. Oggi le scene sono le stesse di allora.

Com’è triste Milano sotto i lampioni. Sono cresciuti nuovi grattacieli, le vecchie palazzine liberty sono state stuccate e riverniciate, le «600» e le «1100» del dimenticato miracolo economico sostituite dalle «Ritmo» e dalle «Regata» ma il panorama notturno è quello di sempre: donne che attendono nell’ombra con la borsa penzoloni, uomini che le caricano in macchina dopo brevi trattative, che talvolta si concludono tra risa sguaiate.

E dire che in recenti saggi dei soliti sociologi prêt-à-porter avevo letto che la prostituzione si sta estinguendo per il calo della domanda; il maschio anni Ottanta non cercherebbe più l’ amore a pagamento, dato che ce l’ ha gratis. Dove e quando vuole; in ufficio, al bar, in discoteca, sul tram. Secondo gli esperti da boutique, non ci sarebbe ragazza, ormai, che si neghi per principio; se le vai a genio, basta un’ occhiata per combinare. Sarà. Ma non per tutti. Almeno non per quelli – alcune migliaia – che ho visto in azione, una sera, per procurarsi qualche minuto di svago. Ho fatto un giro, con la mitica squadra del buoncostume, in vari quartieri, nelle ore di punta: dalle 10 alle 2 di notte; ho scoperto che non ci sono amiche, fidanzati e conoscenti disponibili che tengano: il genere che va per la maggiore resta la passeggiatrice, o il passeggiatore sotto mentite spoglie che, come vedremo più avanti, è assai in voga.

Non potevamo non cominciare da piazza Castello e dintorni, luoghi da sempre deputati ad esercizi sbrigativi. La macchina amaranto della polizia, che nel gergo professionale è definita civetta, in quanto priva di contrassegni, si ferma di fronte al capolinea dell’ Autostradale. I fari inquadrano quattro gambe ben sagomate. Appartengono a due vistose ragazze in divisa da marciapiede: minigonna, tacchi arditi, scollatura generosa.

Si sottopongono, mansuete, al controllo dei documenti; si direbbe che erano preparate alle richieste degli agenti. Osservandole da vicino, mi accorgo che la prima impressione era sbagliata; hanno ginocchia livide, scarpe sformate, abiti modesti; i loro volti, dietro spessi strati di cipria, sono inespressivi, sembrano maschere; gli occhi, sovraccarichi di belletto nero, ostentano indifferenza, freddezza. Da un pullman austriaco scendono una cinquantina di turisti anziani che si dirigono verso l’ edificio sforzesco; alcuni si voltano, e una delle signorine reagisce facendo boccacce. I poliziotti fingono di non aver visto. Il maresciallo, prima di congedarsi, domanda: c’ è movimento stasera? Rispondono di malavoglia: «Come al solito, i clienti ci sono, mancano i soldi». E scoppiano a ridere.

Apprendo che sono drogate, «fatte» fino al collo, precisano i miei accompagnatori. Eroina e cocaina sono i carburanti delle neoprostitute, da quella professionale a quella dilettantistica. Ci sono quelle che battono per la bustina e quelle che la prendono per darsi il coraggio di battere. Le prime lavorano part-time, occasionalmente, e non sono incluse in alcuna statistica; le altre, circa seicento, vanno riciclandosi: da stradaiole si trasformano in stanziali, tendono a disbrigare le pratiche in casa, perché rende di più, consente di selezionare la clientela e tiene al riparo dai rischi: scippatori e vagabondi.

LE PENDOLARI
A parere della buoncostume, bisogna poi tener conto delle pendolari che costituiscono un fenomeno relativamente nuovo: ragazze che hanno un lavoro, che abitano fuori Milano, e che, aspettando il treno o il pullman, si danno da fare. Arrotondano. In un’ ora o due guadagnano, minimo, duecentomila lire che servono per il parrucchiere di grido, la pelliccetta, lo chemisier firmato. Esordiscono quasi sempre per scherzo, o per scommessa; invogliate da amiche che già «svolgono» con profitto. Sulla piazza sono molto richieste, perché offrono all’ utente, a parità di prezzo con la concorrenza, maggiori attrattive: intanto, un «prodotto» più fresco se non di migliore qualità; soprattutto, la passeggiatrice di complemento profonde nelle prestazioni un impegno superiore rispetto alle veterane. La categoria è difficilmente quantificabile; a occhio e croce le appartenenti saranno 2.000, ma il numero, se è inesatto lo è per difetto.

La civetta amaranto adesso si blocca nei pressi dell’ Arena. Il traffico è intenso, nonostante sia mezzanotte; si forma un ingorgo, ed è subito strepito di clacson rabbioso. Attorno alle piante, vari campanelli di donne. Gli agenti le chiamano a raccolta per adempiere al rito delle verifiche; nessuna protesta. Affondano la mano nella borsetta, estraggono portafogli sgualciti e consegnano diligentemente i documenti. Una, claudicante, con tacchi a spillo uno più lungo dell’ altro, mostra la fotocopia della carta d’ identità, e spiega in vernacolo pugliese, che sembra l’ imitazione di Banfi: «L’ oriccinale lo tenghe a casa, che è la decima volta che me l’ arrubano la borsetta con tutt’ e cose dentro». Il maresciallo sorride e annota nome e cognome. «È l’ unica arma che ci rimane – dice -. Chi non è in regola finisce in questura, ma le italiane di solito lo sono. Le straniere, invece, spesso passano dei guai perché non hanno il permesso di soggiorno».

Straniere? «Già, non lo sapeva? Almeno la metà di questa gente è di importazione: Sudamerica, specialmente. Una volta erano soltanto ragazze; adesso anche travestiti, un esercito». Vicino alla claudicante ce n’ è uno: stivaletti di camoscio, flosci, minigonna d’ ordinanza, unghie laccate, busto solido ma corredato di specificità femminili; il timbro di voce è inconfondibilmente maschile: «Io non sono mica straniero, né. Vengo da Viggiù, faccio la spola. Qui ci ho un pied-à-terre».

I poliziotti sono cortesi con lui come con le colleghe. «Quando cambi forma? » gli domandano. «Presto – risponde -. Ho messo da parte i soldi per l’ operazione. A giugno, zac. Inscì, sunt a post. Casablanca? Neanche per sogno, Stati Uniti, loro sì che sono all’ avanguardia in taglio e cucito, minga i tunisini che al massimo vann ben per i tappeti. Cosa le pare a lei, bel giovinotto, le sembro tipo da marocchini? ». Il giovanotto sarei io. Approfitto della simpatia che suscito in lui per approfondire la questione. Quanti siete voi (Non oso dire travestiti, mi pare spregiativo).

«Noi chi? I trans? Un’ infinità, guardi. Dieci anni fa, che ho cominciato io, beh, eravamo una rarità. Vita dura perché allora non c’ era ancora la mentalità, e tante volte ci facevano correre, parolacce e botte in testa sa? Ma anche soddisfazioni, che essendo noi più pochi, i clienti erano parecchi. Adess l’ è un disastro: soltanto qui al Parco saremo cento. Cosa dico, duecento. In Milano siamo più di quelli di Garibaldi, almeno mille. Oddio, c’ è da fare per tutti. L’ importante è che si fermi la legione straniera, che di baluba ne arriva uno al giorno».

LE TARIFFE DEI TRANS
Non oso chiedere qual è la tariffa, non vorrei essere scambiato per uno che ha una mezza intenzione. Provvede la squadra a soddisfare le mie curiosità: da 20 mila, per un servigio spiccio sullo sterrato ai bordi della rotabile, a 100 per un’ opera completa, alloggio incluso. Non c’ è differenza, in pratica, con i listini in vigore nel settore tradizionale. Imbocchiamo via XX Settembre. È avvolta nella penombra, sembra un artifizio cinematografico per ambientare una scena di vita notturna nella metropoli.

Solide ville e austeri palazzi novecenteschi, ampi giardini, siepi ubertose che addolciscono cancellate. C’ è, vicino a una cancellata, una signora attempata che sorride. La interrogo. Mi confida che fa la vita da decenni. E aggiunge serafica: «Campo decentemente. Me custa nient. Ci ho il mio appartamento, i miei capricci. Ogni tanto le mando qualcosa alla mia figlia, ghe basten mai. Lei sta a Reggio Emilia, io preferisco rimanere qui, logicamente. Sebbene che si sappia quello che faccio, lo sanno tutti tranne il mio nipotino, spero. Mi dicono di smettere, ma se ci do i soldi, i ciappen e parlen no.

Mio padre poveretto ci soffriva. Nove figli maschi, bravissimi lavoratori, l’ unica femmina, putana». È scatenata, il suo racconto punteggiato di risate rauche e, gorgoglianti: «Protettore? È una razza scomparsa. Le donne hanno imparato a farne a meno, anche le giovani. Era ora. Io ho sempre rifiutato. Ci han provato in tre: uno mi ha sparato, uno mi ha dato una coltellata, l’ ultim el m’ ha sbattùu foera do dent. No oggigiorno è diverso: si incassa meno ma si campa meglio».

Cinquanta metri avanti, eccone un’ altra. Stessa età; stessi timori, retaggio di un’ epoca non poi così lontana, quando le prostitute, una sera sì e una no, finivano nel cellulare, erano portate in questura e trascorrevano il resto della notte in guardina, uno stanzone con quattro panche per venti o trenta recluse; unico comfort, lo storico bugliolo. Negli occhi sgranati della logora reduce sfilano, probabilmente, le immagini di quei ricordi che il nostro approccio ha risvegliato. «Che stremizzi, gent – dice-. Mi fate venire l’ angina pectoris». Ormai rassicurata, riprende ad armeggiare sulla siepe i cui rami sporgono da un muretto. «Cosa fai?» domanda un poliziotto.

E lei: «O bèla mi serve per i fiori, ci ho il terrazzo pieno, mi serve un po’ di verde, chi ghe n’ è tant, per una foglia non li mando mica in malora i padroni. Cosa dici te, poliziotto?». Non demorde ma il ramo non si stacca: provo io ed ho sorte migliore. Per la gioia emette un grido ma si porta subito la mano sulla bocca: «Scusate, l’ è minga l’ ora de fa burdell, ma ci tenevo troppo. Grazie».

LE STORIE
Una dopo l’ altra le passiamo in rassegna tutte: solita trafila dei documenti, solite storie. A una, sui 40 anni, preme sottolineare che è sul punto di abbandonare. «Questione di un anno o due – proclama con orgoglio- : i figli sono grandi, studiano in collegio, bravi ragazzi. La macchina è pagata, due palanche le ho, mi manca giusto qualche rata della casa e sono sistemata. Gli affari? Stasera maluccio, per la verità è un periodo di fiacca, spopolano i travestiti». Non ha torto. Nella zona intorno alla Rai, pullulano.

Impossibile per me, che non sono del ramo, distinguerli dalle donne. Due signorine ballano in mezzo alla carreggiata, i fasci di luce dei nostri fari ne mettono in rilievo le gradevoli rotondità, esaltate dall’ abbigliamento: jeans attillati, magliette maliziose. L’ autista della buoncostume frena bruscamente, gli agenti schizzano fuori dall’ abitacolo fra lo sbatacchiare delle portiere. «Ma che fate, la danze del ventre sulle strisce pedonali?». La più giovane, una ragazzina, arrossisce. Ha i capelli dritti, castano chiari; un faccino da seconda liceo, con le lentiggini; una qualsiasi figlia di famiglia. «Documenti», sollecita severo un sottufficiale. Glieli porgono tremando: sono spagnole, vengono da Barcellona. «Che ci fate qui?». L’ educanda non fiata, fa una smorfia che significa: «Sì, proprio quello che pensate». Ce ne andiamo. «Pazzesco – commento più tardi – due bambine».

«Sì, bambine – aggiunge ironicamente un poliziotto – vedesse che roba». «Quale roba?». «Faccia uno sforzo di fantasia, quelli sono uomini». «Uomini?». «Maschi, e come glielo devo dire?». Giuro che non ci credo. Dinanzi a un bar dondola un negro con la sottana, persino io capisco che è un giovanotto. Dei cerchi come piatti gli pendono dalle orecchie, il rossetto è tracciato da mano inesperta, i denti spaziati; è tragicamente buffo. Ha pure lui il problema dell’ intervento per cambiare sesso, ne parla appassionatamente: «Forse in settembre – sostiene – avrò la cifra necessaria; poi andrò in Canada, mia sorella mi ha promesso di ospitarmi, le sarò di aiuto in casa finché non troverò un lavoro, uno qualunque. Sono stufa della strada».

La polizia lo ascolta con partecipazione, non gli dice frasi sconvolgenti o battutacce. Il maresciallo, che da 22 anni fa questo mestiere, si comporta come un assistente sociale, un medico condotto: dispensa consigli sui certificati, sui passaporti che scadono, sul rinnovo dei permessi. Il suo nome è Salvatore Marzano. Intuisce quel che mi passa per la mente e sbotta: «Che altro potrei fare, prenderli a calci? Sono dei poveracci, all’ inizio mi mandavano in bestia ora mi fanno pena; e non per quello che sono, che non me ne frega niente, ma per come si guadagnano da mangiare».

I PERICOLI
Attraversiamo la città. Pizzerie, paninerie e trattorie rigurgitano folla. Strade intasate, e sono le due di notte. Ma dove vanno? Arriviamo di fronte al Palalido, sul piazzale ancheggiano alcune falene, attorno alle quali turbina un carosello di macchine; la più brutta è una BMW targata Mantova. La presenza degli agenti non scoraggia i corteggiatori, non hanno remore nel porsi in evidente, e paziente, attesa del loro turno di emozione trasgressiva. Una – uno, mi correggo – corre piagnucolando incontro al maresciallo Marzano: «Mi hanno scippata, maledetti». «Documenti». «Anche quelli, scippati. Erano nella borsetta. Le posso dare le mie generazioni».

«Darmi che cosa?». «Le generazioni, no?». «Va bene, dammi le generazioni, poi si va in questura a denunciare. Allora, cognome?». Una collega della derubata si siede sbuffando sul parafango di una Mercedes. «Quella cretina – dice – ogni sera ne ha una, che noia». Poi, saltellando raggiunge una Jaguar che lampeggia. Si spalanca lo sportello e la luce si accende; al volante c’ è un signore sulla quarantina, elegante chic. L’ auto parte con fragore. Possibile? «Possibilissimo – sottolinea – la buoncostume -. Succede 5 mila volte ogni notte. Perché? I travestiti sono sei o settecento; sette o otto clienti ciascuno, faccia un po’ il conto».

Ma più che la quantità degli estimatori della specialità, mi stupisce il loro livello. Che avesse ragione quell’ investigatore privato di Torino? Il quale avviò un’ inchiesta sul fenomeno, ma la fermò quasi subito perché, dopo aver fatto il riscontro delle targhe di un centinaio di auto, si accorse che appartenevano a rinomati professionisti e imprenditori. Sarà meglio che rinunci anch’ io.

di Vittorio Feltri

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