C’è aria di bancarotta Sulla fuga degli indiani ora indaga la procura

Dalla bancarotta all’aggiotaggio al market abuse: potrebbero essere questi alcuni dei reati che la Procura di Milano intravvede dietro la vicenda della Ilva di Taranto, vicenda in cui fa fragorosamente irruzione con un comunicato diramato alle 12,58 di ieri dal procuratore capo Francesco Greco.

Per ora, fa sapere Greco, non ci sono reati né indagati, c’è solo un fascicolo esplorativo destinato a capire cosa sia accaduto. Ma intanto il risultato è raggiunto. Sull’intera vicenda pesa da ieri un terzo soggetto, destinato a incidere sul braccio di ferro in corso tra lo Stato e gli indiani di Arcelor Mittal: la magistratura.

Ad occuparsi del fronte penale e ambientale della vicenda Ilva è da sempre per competenza territoriale la Procura di Taranto. Ma la Procura milanese entra in scena sul fronte oggi più delicato, quello economico e societario. La sede della amministrazione straordinaria Ilva è a Milano, e questo consente a Greco e al suo aggiunto Maurizio Romanelli, capo del pool che si occupa di criminalità economica e politica, di fare il loro ingresso in campo. Alla Guardia di finanza viene ieri dato l’ordine di indagare sul tentativo degli indiani di abbandonare l’Ilva al suo destino, rompendo il contratto stipulato con il governo Renzi. Ci sono almeno tre aspetti di quella decisione, viene spiegato in ambienti investigativi, che possono assumere rilievo penale: bisogna capire quando è stata presa la decisione, quando e come è stata comunicata, quale impatto abbia avuto. Tenendo presente che Arcelor Mittal è quotata in Borsa, e l’annuncio può avere alterato il corso del titolo; e anche che il colosso di Taranto è in amministrazione straordinaria, e quindi gli si possono applicare le leggi fallimentari. Compresa, se per colpa di Accelor Mittal la situazione andasse a catafascio, l’accusa di concorso in bancarotta.

Non a caso il fascicolo è stato assegnato ai due pm, Stefano Civardi e Mauro Clerici, che hanno seguito fin dall’inizio l’inchiesta sul crac del gruppo Riva, il vecchio proprietario dell’acciaieria. Fascicolo aperto, come s’è detto, per ora senza accusa specifiche: e viene in mente un precedente, il «faro su Mediobanca» con cui il procuratore Borrelli annunciò, ai tempi di Mani Pulite, che la Procura intendeva occuparsi del colosso di Enrico Cuccia.

Ora, allo stesso modo, la Procura si occupa di Ilva. Lo fa aprendo l’indagine-faro e lo fa anche, come rende noto Greco nello stesso comunicato, scegliendo di partecipare in nome dello Stato al fronte civilistico della vicenda, le cause contrapposte che Accelor Mittal e gli amministratori giudiziari stanno lanciandosi contro davanti al tribunale di Milano. Al ricorso degli indiani che chiedevano la risoluzione del contratto d’affitto per giusta causa, ieri si è opposto quello d’urgenza dei commissari che chiedono di obbligare Accelor Mittal a rispettare i patti: «Il preteso recesso – spiegano i commissari – è stato indebitamente esercitato e conseguentemente non sussistono le condizioni giuridiche per la retrocessione dei rami d’azienda oggetto del Contratto d’affitto». E ieri la Procura, come consente il codice civile, si è costituita anch’essa come parte, «ravvisando un preminente interesse pubblico relativo alla difesa dei livelli occupazionali, alle necessità economico-produttive del Paese, agli obblighi di risanamento ambientale».

Sarà questo versante della battaglia giudiziaria, verosimilmente, ad avere i tempi più brevi. Mentre l’inchiesta penale dovrà attendere gli esiti degli accertamenti della Finanza, la prima udienza al tribunale civile dovrebbe tenersi entro due settimane. E lì si comincerà a capire il peso sul caso Ilva della spada (d’acciaio) della giustizia.

il giornale.it

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