I neuroni di Di Maio sembrano palle di un flipper quando pensa a Giorgia Meloni

Nella testolina di Di Maio il ronzio deve essere terribile. E’ l’effetto che pare provocargli Giorgia Meloni. Appena il pensiero va su di lei, i neuroni che possiede somigliano alle palle impazzite del flipper, non ragiona più. E spara balle a ripetizione, col sorrisetto ebete. Sta facendo precipitare i Cinquestelle ai minimi, il sorpasso di Fratelli d’Italia lo fa impazzire ogni volta che si va al voto in qualunque territorio. E fra poco teme di vedersi sovrastato anche nei sondaggi.

Ordina grafiche, fa produrre video, si esibisce ovunque e canta la canzoncina della poltrona. Per Di Maio, Giorgia Meloni è la politica “a cui paghiamo lo stipendio da quando ha 20 anni”. E questa è la prima balla. Giorgia Meloni è arrivata in Parlamento alla soglia dei trent’anni, Di Maio a 27. Giggino non ha mai preso una preferenza in vita sua, la leader di Fratelli d’Italia – vedasi le europee – ha visto scrivere il proprio nome dagli elettori sulla scheda – quasi 500mila volte. Di Maio non ci ha nemmeno provato.

Di Maio parla della Meloni ma al governo ci sta con il voto di Casini

Certo, la Meloni ha il torto di aver vinto le primarie in An – non sulla piattaforma Rousseau – nelle sue prime elezioni provinciali. E strappò il seggio nella rossa Garbatella. Militanza politica, quella che i grillini in Parlamento nemmeno sanno che cosa sia. E’ la prima volta che si sente parlare dei sontuosi stipendi in un’amministrazione provinciale… Il capo politico dei pentastellati invece passa da un governo all’altro dalla poltrona di ministro dello Sviluppo a quella degli Esteri e mette nel mirino le poltrone altrui.

Si arrabbia, Di Maio, quando la Meloni parla del governo delle poltrone. Lui le rinfaccia le sue – e poi vediamo quali – ma sta al governo anche grazie ai voti di Casini. E di Bersani. E di Monti. Un bel tacer non fu mai scritto.

In realtà Giorgia Meloni è deputata per elezione popolare, esattamente come lui. Fa anche la consigliera comunale di Roma, e lo stipendio capitolino non esiste, giacché uno di “quelli di prima”, Tremonti – annota, Giggino – tolse il doppio emolumento a chi aveva doppio incarico. Ed è sempre il popolo a votarla, non Di Maio, questa donna che lo fa tanto ammattire.


Si arrabbia, Di Maio, quando la Meloni parla del governo delle poltrone. Lui le rinfaccia le sue – e poi vediamo quali – ma sta al governo anche grazie ai voti di Casini. E di Bersani. E di Monti. Un bel tacer non fu mai scritto.

In realtà Giorgia Meloni è deputata per elezione popolare, esattamente come lui. Fa anche la consigliera comunale di Roma, e lo stipendio capitolino non esiste, giacché uno di “quelli di prima”, Tremonti – annota, Giggino – tolse il doppio emolumento a chi aveva doppio incarico. Ed è sempre il popolo a votarla, non Di Maio, questa donna che lo fa tanto ammattire.

Inchinati, Giggino, di fronte a coerenza e preparazione

Ormai la storiella degli stipendi la possono anche toglierla dal frasario che consultano ogni giorno, gli sparlatori a Cinquestelle. Chi fa il deputato o senatore prende lo stipendio esattamente come succede in qualunque altra nazione del mondo. Non è che quello di Di Maio è giusto e quello degli altri un furto. Demagogia un tanto al chilo, ma ormai è merce avariata.

Grattare con le unghie sui vetri non serve a niente, soprattutto se a parlare è chi non ha fatto nulla di concreto in politica e neppure nella vita. Di Maio dovrebbe solo inchinarsi davanti alla preparazione e alla coerenza della Meloni. Ma non ci riesce, perché da quelle parti l’umiltà non è di casa, la maleducazione un obbligo istituzionale. Ma resta il veleno  che sputa solo chi si è accorto di perdere sempre e non se ne capacita.

Questa destra che voleva distruggere lo preoccupa perché Di Maio teme il sorpasso definitivo. E quel giorno non avrà davvero più scampo. Lo attende lo stadio San Paolo.

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