Tanti tweet, poco share Rubio, lo chef anti Salvini messo alla porta dalla tv
Tanto twittò che piovve. Per chef Rubio sembra arrivato il momento della resa dei conti. Il cuoco «de strada e de telecamera» che negli ultimi tempi ha fatto parlare di sé più per la sua attività social che per le sue performance televisive (di quelle culinarie non si hanno notizie ormai da tempo) starebbe per essere scaricato da Discovery Channel, la piattaforma televisiva con una dozzina di canali (tra i quali Nove, RealTime, DMax) di cui Rubio doveva essere uno dei volti.
Missione incompiuta, a giudicare dagli scarsi risultati in termine di share di «Chef Rubio alla ricerca del gusto perduto», la trasmissione in cui come anni fa il compianto Anthony Bourdain, ma con infinita meno classe, lo spignattatore frascatano percorre le strade dell’Estremo Oriente a caccia di esperienze culinarie hardcore.
E così Discovery avrebbe deciso di liberarsi di un volto scomodo, elettosi a paladino dell’antisalvinismo militante e maleducato. Forse se gli ascolti lo avessero premiato la rete avrebbe chiuso un occhio sui suoi tweet sempre a gamba tesa, ma questo non è accaduto. E la voce di un divorzio è cominciata a girare, fin quando ieri Dominque Antognoni, un blogger di solito molto informato sul retrobottega del mondo del food, sul suo sito «Good Life» ha pubblicato un post dal titolo «Bye bye Figuro», nel quale si racconta che Rubio, peraltro mai citato per nome, «è stato amorevolmente accompagnato alla porta da Discovey Channel». Antognoni sostiene di sapere anche il nome del suo sostituto, che non svela ma di cui dice che è «un vero e proprio chef». E poi: «Auguriamo al figuro le migliori fortune ma anche no».
Al di là dell’antipatia evidente, la notizia è scritta con il piglio del poker servito e quindi siamo propensi a dar credito a chi la dà. E del resto poco ci interessa quale chef andrà a sostituire Rubio come volto di Discovery. Più ci appassiona la parabola discendente di Gabriele Rubini, nato a Frascati 36 anni fa, un pezzo di ragazzone che ha giocato nella serie A di rugby e che ha iniziato a frequentare gli angiporti del food per mantenersi e dopo un grave infortunio ha lasciato lo sport dedicandosi alla carriera di chef. Di lui non si ricordano grandi esperienze in ristoranti ma molte in tv dove ha sempre interpretato il ruolo del gourmet ruspante, tanta quantità e poco fighettismo, ciò che – confessiamo – ce lo ha anche reso a lungo simpatico. In «Unti e bisunti» girava l’Italia in cerca di specialità grevi e schizzacamicia sulla cui realizzazione sfidare qualche cuoco locale. «Camionisti in trattoria» era una sorta di «Quattro ristoranti» ipercalorico. In tutti i format Rubio mette in gioco la sua fisicità estrema, la sua indubbia capacità gastrica, la sua estetica da gara di rutti, i suoi gusti alimentari iperpop.
Ma la carriera più notevole di Rubio è stata negli ultimi tempi quella del guru fegatoso della sinistra estrema. Si ricordano di lui, oltre a numerosi post contro Salvini, svariate prese di posizione contro Israele («Rabbì la storia è ciclica, prima pecore oggi lupi») e una discutibile uscita dopo l’assassinio di due agenti a Trieste, lo scorso 4 ottobre, contro «un sistema stantio che manda a morire giovani impreparati fisicamente e psicologicamente». Tweet a cui il fratello di una delle vittime rispose così: «Beh tieni sempre la guardia alta quando giri perché se colgo impreparato pure te fai la fine di mio fratello!». Per ora Rubio, chef o non chef, fa la fine dell’esodato.
il giornale.it