“Mi dicono negro schiavista. Ma questo non fa notizia”
Sul web gli «sputano» due volte: la prima perché è di colore, la seconda perché è della Lega. «E naturalmente ci sono poi gli stupidi che mi insultano per quello che penso.
E loro sì che sono di ogni colore politico». Dato che parliamo di colori: ha mai ricevuto solidarietà dai parlamentari gialli, rossi e rosa, insomma, dai suoi avversari? «Mai, ed è chiaro che mi dispiace, ma credo di conoscere la ragione. Da venticinque anni sono iscritto alla Lega e in questo momento i leghisti sono considerati dei lebbrosi». Da due anni, Toni Iwobi è invece senatore, il primo di origine africana a essere eletto. A candidarlo è stata la Lega tanto che alcuni dicono: «La sua elezione è la più grande operazione di facciata di Matteo Salvini».
È davvero la più grande operazione di facciata mai compiuta dalla Lega?
«Come vede, devo difendermi anche da questa forma di razzismo che è più sottile. Sono stato indicato dal territorio, il mio nome sottoposto a Salvini, poi candidato e infine eletto. Nella mia vita ho fatto mille mestieri, ho superato mille fatiche, prima di arrivare a questo incarico».
E con regolarità, da quel giorno, sulla sua pagina social si riversano offese e si praticano aggressioni verbali, immondizia da caverna.
«E il dolore è tanto. Lo dico con il cuore. L’Italia non è un paese razzista o fascista. È un paese perbene. Chi mi insulta è una parte ubriaca e accecata dal mio colore politico. Prima del mio ingresso al Senato, non ho mai ricevuto tanto odio. Da quel giorno, qualcosa è cambiato».
Adesso le fanno paura e dunque annuncia querela.
«All’inizio ho preferito tacere, ignorare. Non mi facevano né caldo né freddo. Ho sempre pensato che fossero squilibrati in cerca di visibilità. Ho minimizzato, ma adesso siamo al di sopra».
E infatti ha deciso di mostrare i commenti, sezionare gli insulti e denunciare il silenzio dei giornali che «non hanno mai parlato di queste barbarie».
«Mi scrivono negro da cortile, Django, Zio Tom, Negro verde asservito, mi chiamano schiavista. Pensavo che bastasse cancellare i loro commenti e invece la loro furia aumenta e si nutre del silenzio dell’informazione. C’è una informazione scorretta che enfatizza le ingiurie di una parte, ma che chiude un occhio quando le stesse ingiurie vengono scagliate all’altra».
Dicono che ad avere scatenato l’odio sono le politiche di destra e la Lega la mettono in cima.
«E quelli che lo dicono, e lo scrivono, sono gli stessi che dividono il razzismo in serie. C’è ne è uno di serie A, uno di serie B e poi ci sono i leghisti. Nei nostri confronti, il razzismo è di serie C. E però, il razzismo è sempre uno e dilaga proprio a causa di questa meschinità politica, di questa ipocrisia e divisione».
In occasione del voto sull’istituzione della commissione Segre, i leghisti non si sono alzati in piedi. Siete stati accusati di essere tiepidi con i bastonatori. E ieri, su Repubblica, venivate indicati come «destra energumena», «antidemocratica» mentre Salvini come «un curvaiolo, estremista».
«Lo scrivono quei radicali eleganti che da mesi parlando di Salvini come il male assoluto e che ci additano ai lettori come un fenomeno da estirpare. Chiedo: cos’è questo se non razzismo? Io, così come tutti i miei colleghi, abbiamo applaudito la senatrice Segre. Le vogliamo bene e la abbracciamo. Ci accusano per non esserci alzati in piedi, ma nell’accusa c’è la malafede di chi vuole denigrarci a prescindere».
L’accusa finale è: come fa un nigeriano a essere leghista? E gli sputi sono tre.
«E mi rimproverano di dire prima gli italiani, ma quella frase non è una bestemmia. Lo dico da nigeriano venuto in Italia. Quella frase l’ho sentita in America, in Germania. Chi mi conosce, sa che vado pochissimo in televisione e che le mie parole sono moderate. Si è fatta ironia sulle minacce che Salvini ha dichiarato di ricevere. Ma le minacce che riceve sono vere, numerose e ignobili così come è ignobile quanto rivolto alla Segre. Misurare il grado delle offese è il peggiore modo per fare una battaglia che deve essere comune o ancora peggio mobilitarsi. Ma solo per appartenenza»
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