Resta la via al padre dei Gulag: il Pd non vuole cancellare Lenin
La richiesta era stata presentata un mese fa perché “nel 2019 in nessuna parte del mondo dovrebbe essere intitolata una via a un dittatore”. Principio validissimo, ma a quanto pare applicabile solo ad alcuni. A Bologna infatti la via dedicata a Vladimir Il’ič Ul’janov Lenin non si tocca.
Nonostante il voto del Parlamento europeo che equipara nazismo e comunismo.
La denominazione risale al 18 aprile del 1970 ed è “merito” della giunta comunale guidata dall’ex sindaco Guido Fanti. Da allora il padre del marxismo-leninismo campeggia tra le vie cittadine, senza possibilità di revisione. Nel 2012 ci provò un privato cittadino, inutilmente. La commissione toponomastica rigettò la richiesta all’unanimità, giustificando la decisione con il rischio di perdere “la storicità dei luoghi” e di comportare “disagi per i cittadini residenti e per le attività” commerciali. Caso chiuso? Non proprio. Perché Umberto La Morgia, consigliere a Casalecchio di Reno, e Riccardo Nucci, eletto a San Venanzo, hanno provato a smuovere le coscienze di un’Emilia-Romagna “costellata in molte delle principale città da vie intitolate a Lenin, Tito e altri dittatori asiatici”. I due consiglieri ritengono “non consona” nel 2019 la permanenza “di una via dedicata a un dittatore responsabile della sofferenza e morte di milioni di persone”. A supporto della loro posizione portano la risoluzione del Parlamento Ue sulla comparazione tra nazismo e comunismo, in particolare il punto 18 in cui si stigmatizza “la permanenza” di monumenti e luoghi commemorativi “che esaltano regimi totalitari, il che spiana la strada alla distorsione dei fatti storici circa le conseguenze della Seconda guerra mondiale”.
Direte: in occasione dei 30 anni dalla caduta del muro di Berlino ci avranno riflettuto su. Magari valutando che Lenin tutto sommato è il padre biologico di quel regime che ha soffocato l’indipendenza e la libertà di tanti popoli. Invece no. Vladimir non si tocca. A scriverlo nero su bianco è l’assessore ai Lavori pubblici e presidente della Commissione Toponomastica, Virginia Gieri. Cattolica e piddina, l’assessore condivide i ragionamenti sui disagi per i cittadini in caso di modifiche ai nomi delle vie. Ma si spinge anche oltre, aggiungendo un’analisi sul quel voto degli europarlamentari che “ha diviso le forze politiche” a Bruxelles e “nei singoli stati nazionali”. “Si può dire – spiega – che, ancor prima di essere stata condivisa, non solo nella politica, ma anche nell’opinione pubblica, il testo di questa risoluzione ha generato smarrimento e disorientamento, suggerendo quasi che la storia si possa scrivere all’interno di luoghi come un Parlamento Europeo”. Esatto: smarrimento e disorientamento. Capite? “Prendiamo atto del fatto che non solo la sinistra lascia intendere che esistono dittature buone e dittature cattive, ma anche che il ‘ce lo chiede l’Europa’ è valido solo quando l’Ue dice ciò che è funzionale alla narrazione dei rossi. – attacca La Morgia – Le stragi e le ferite inflitte dal comunismo sono di una gravità che andrebbe riconosciuta a prescindere dalle appartenenze partitiche. Se la nostra identità culturale è antifascista, dovrebbe essere altresì anticomunista”.
Per la Gieri però la risoluzione Ue non può rappresentare “un elemento vincolante” per l’amministrazione. Dunque non c’è bisogno di mettere nel cassetto Viale Lenin. La pensa come David Sassoli, neo presidente dell’europarlamento, quando sostiene che “equiparazioni improprie minano la nostra identità” e che non bisogna “alimentare confusione tra chi fu vittima e chi carnefice”. Eppure di carnefici il comunismo se ne intende eccome. Scriveva Stéphane Courtois nel capitolo introduttivo de Il libro nero del comunismo: “I fatti parlano chiaro e mostrano che i crimini commessi dai regimi comunisti riguardano circa 100 milioni di persone”. Qualcuno potrebbe obiettare che sì, la risoluzione del Parlamento Ue invita a “sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie” sui “crimini dello stalinismo e di altre dittature”, senza però citare mai Lenin. Vero. Ma come scriveva Antonio Carioti sul Corriere, “quando Lenin venne colpito dal primo ictus (…) il regime bolscevico aveva già assunto le fattezze totalitarie che il suo allievo e successore Stalin avrebbe poi accentuato”. Lenin fu il maestro di Stalin e vero padre dei Gulag, come denunciava Robert Conquest. Eppure in Italia, ancora oggi, è impossibile toglierlo dalla toponomastica.
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