Caso Fiber, la linea difensiva di Conte può vacillare
Giuseppe Conte è sulla graticola. Smentito sul Russiagate dalle notizie che arrivano dagli Stati Uniti e dalle recenti dichiarazioni del ministro della Giustizia William Barr, nei giorni scorsi Conte è finito nel mirino del Financial Times per il presunto conflitto d’interessi sul caso Fiber, per il quale martedì alle ore 19 sarà alla Camera per chiarire la sua posizione.
Il presidente del Consiglio si è difeso e ha spiegato, in una lettera indirizzata al quotidiano finanziario, di aver agito alla luce del sole. “Le mie azioni – ha sottolineato il premier nella lettera inviata al Financial Times – sono state giudicate totalmente appropriate e alla luce del sole dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, responsabile per le indagini sui conflitti di interesse in Italia”.
Per quanto concerne il presunto conflitto d’interesse, Giuseppe Conte spiega di essersi “formalmente e sostanzialmente astenuto” e di non aver nemmeno partecipato alla riunione del consiglio dei ministri che il 7 giugno 2018 decise di utilizzare il “golden power”. Il Financial Times aveva spiegato che un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano al centro di un’indagine sulla corruzione finanziaria era alla base di un gruppo di investitori che assunse Conte – ora primo ministro italiano – per lavorare su un accordo perseguito poche settimane prima che assumesse la carica. “Conte – ha sottolineato il Ft – era un accademico di Firenze poco conosciuto quando è stato assunto a maggio 2018 per fornire un parere legale a favore di Fiber 4.0, un gruppo di azionisti coinvolto in una lotta per il controllo di Retelit, una società italiana di telecomunicazioni lo scorso anno. L’investitore principale in Fiber 4.0 è stato il Athena Global Opportunities Fund, finanziato interamente per 200 milioni di dollari dal Segretariato Vaticano e gestito e di proprietà di Raffaele Mincione, un finanziere italiano”.
Ora Libero spiega, dopo aver consultato alcuni documenti sul caso, che la linea difensiva del premier sul caso Fiber non convince del tutto. È il 20 aprile 2018 quando Raffaele Mincione – che Conte dice di non conoscere – sottopone la questione del golden power su Retelit al governo Gentiloni. Giuseppe Conte fornisce il suo parere il 14 maggio, quando già sapeva, come confermano alcune dichiarazioni pubbliche, di poter essere nominato nel governo gialloverde, in un ruolo importante. Conte si giustifica sottolineando di non aver partecipato al Cdm del 7 giugno che autorizza l’applicazione del golden power su Retelit: tuttavia, quella decisione era stata presa ben prima dello stesso 7 giugno, come confermerebbe il decreto del presidente del Consiglio.
Terzo elemento, da chi viene presa quella decisione? In primo luogo da Luigi Di Maio in qualità di Ministro dello Sviluppo Economico, che come leader del Movimento Cinque Stelle era stato anche il principale sponsor di Conte a Palazzo Chigi; poi, dall’ autorità per la garanzia nelle telecomunicazioni, l’Agcom. C’è un però: perché il parere non viene firmato dal presidente o dai commissari in forma collegiale ma dal segretario generale Riccardo Capecchi? Circostanza che parebbe anomala, tant’è che è uno degli elementi fondanti del ricorso di Retelit contro il provvedimento del governo. Toccherà proprio al premier Giuseppe Conte chiarire questi aspetti “controversi” martedì in aula e non affrontati nella lettera inviata al Financial Times.
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