Consulta: “No alla procreazione assistita per le coppie gay”
Il divieto di procreazione assistita per le coppie gay “non è illegittimo”, dal momento che “la tutela della salute non può essere estesa fino a imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia, o anche un individuo, reputi essenziale”.
Lo scrive la Corte Costituzionale nelle motivazioni della sentenza 221 del 18 giugno scorso con cui la Consulta aveva respinto il ricorso di due coppie di donne che chiedevano l’accesso alla procreazione assistita, vietato dalla legge 40/2004. Dunque, per i giudici non esiste alcun diritto a procreare.
A sollevare la questione di legittimità costituzionale erano stati i Tribunali di Pordenone e di Bolzano. Infatti, la legge italiana non permette alle coppie omosessuali di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Divieto confermato dalla Consulta che a giugno, in una nota, aveva spiegato: “Le questioni sono state dichiarate non fondate. La Corte ha ritenuto che le disposizioni censurate non siano in contrasto con i principi costituzionali invocati dai due Tribunali”. Quattro mesi dopo, la sentenza è stata così motivata: “La tutela costituzionale della salute non può essere estesa fino a imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia, o anche un individuo, reputi essenziale – come il desiderio di avere figli, ndr – così da rendere incompatibile ogni ostacolo normativo frapposto alla sua realizzazione”, Quindi, per la Consulta “non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato”.
I giudici costituzionali differenziano l’adozione – che “presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non serve per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo” – dalla procreazione assistita, la quale “di contro, serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza a una coppia (o a un singolo), realizzandone le aspirazioni genitoriali. Il bambino, dunque, deve ancora nascere: non è, perciò, irragionevole, come si è detto – si legge ancora nelle motivazioni della sentenza 221/2019 – che il legislatore si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni di partenza”.
Niente da fare per le due coppie di donne, unite civilmente, che avevano chiesto alle rispettive Asl di appartenenza, vedendosi opporre un rifiuto, l’accesso alle pratiche di procreazione medicalmente assistita, consentite alle sole “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”. (clicca qui per il testo della legge 40/2004).
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